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  • Domenica 8 giugno 2014

L’altro Mondiale in Brasile, nel 1950

Non finì bene per la Nazionale brasiliana: fu la prima edizione del torneo dopo la Seconda Guerra Mondiale (e sì, c'era anche l'Italia, arrivò in nave)

Giovedì 12 giugno comincerà in Brasile il Mondiale di calcio, una delle manifestazioni sportive più note e importanti al mondo insieme alle Olimpiadi. I media internazionali si sono già lungamente occupati dell’entusiasmo degli appassionati di calcio da un lato, e dei notevoli disagi pubblici e contestazioni di una parte della popolazione dall’altro. La storia di cui invece si è parlato molto meno è che in Brasile si è già giocato un Mondiale di calcio: era il 1950, e quell’edizione, che fu la prima dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fu memorabile per diversi motivi, tra cui l’inaspettato risultato finale.

Gli aneddoti e i fatti – un po’ storici e un po’ leggendari – che si raccontano ancora oggi in Brasile riguardo i Mondiali del 1950 sono sintetizzati dai brasiliani con un’espressione netta, usata soltanto per riferirsi all’esito di quell’edizione: il “Maracanaço”, dal nome dello stadio dove si giocò la finale, il Maracanã, a Rio de Janeiro (dove peraltro si giocherà anche la finale dell’edizione 2014).

Perché si giocò in Brasile
Le precedenti due edizioni dei Mondiali – quelle del 1942 e del 1946 – non si erano disputate a causa delle Seconda Guerra Mondiale. Molti dei paesi europei che avrebbero potuto ospitare il Mondiale del 1950 erano stati bombardati o avevano affrontato spese di guerra considerevoli, e non si trovavano in condizioni economiche sufficienti per organizzare un tale evento. All’epoca il trofeo che veniva consegnato alla squadra vincitrice del torneo si chiamava ancora Coppa Jules Rimet, in omaggio al presidente della FIFA – l’organo di governo del calcio mondiale – che aveva fondato questa competizione nel 1929.

I due paesi più importanti che si erano offerti di ospitare l’edizione del 1942, che poi non si disputò, erano stati il Brasile e la Germania. Per l’edizione del 1950 la FIFA si ritrovò soltanto con l’offerta del Brasile, registrando invece un certo disinteresse alla manifestazione da parte dei paesi europei.

Già, e l’Italia?
Pur essendo trascorsi più di dieci anni dall’ultima edizione, l’Italia era tecnicamente campione in carica e partecipò al Mondiale nonostante le gravi perdite economiche e materiali subite durante la guerra. Accolse l’offerta della FIFA di sostenere le spese di viaggio della sua Nazionale in Brasile, che non avvenne in aereo ma in nave. Benché i voli transoceanici non fossero diffusi come lo sono oggi, in molti sostennero che la scelta della Nazionale italiana di viaggiare in nave fosse motivata dal timore diffuso tra i giocatori di viaggiare in aereo per una tratta così lunga. Poco più di un anno prima, il 4 maggio 1949, tutti i giocatori del “grande Torino” – una delle squadre di calcio più vincenti della storia italiana, che per giunta componeva in gran parte la formazione titolare della Nazionale italiana – erano morti in un incidente aereo sul terrapieno della Basilica di Superga, mentre tornavano da Lisbona dopo aver giocato una partita amichevole contro il Benfica.

La Nazionale italiana partì da Napoli il 4 giugno 1950 e arrivò nella città brasiliana di Santos, uno dei maggiori porti dell’America Latina, dopo 15 giorni di viaggio, durante i quali i giocatori si allenarono con tutte le limitazioni che una preparazione su una nave comporta. Alcuni giornalisti che viaggiarono in nave con i giocatori raccontarono che tutti i palloni andarono persi nell’Oceano.

L’entusiasmo in Brasile
Già da molto tempo prima dell’inizio dei Mondiali del 1950 in Brasile c’era grande attesa ed entusiasmo. La nazionale brasiliana non aveva mai vinto il torneo, e poteva contare su una squadra molto forte, formata da alcuni dei giocatori più famosi e citati di sempre (eccetto Pelè, che all’epoca aveva soltanto dieci anni): ci giocavano Jair, Zizinho e Ademir, per esempio, che un anno prima avevano vinto la Copa América (l’equivalente dei nostri campionati Europei, ma per squadre del Sud America).

Proprio in occasione di questa edizione del Mondiale terminarono i lavori di costruzione di uno degli stadi più famosi al mondo, il Maracanã di Rio de Janeiro, cominciati due anni prima. Il nuovo stadio avrebbe dovuto poter contenere circa 160 mila persone, considerando anche i posti in piedi (oggi, dopo numerosi lavori di ristrutturazione, ha poco meno di 80 mila posti). I commentatori dell’epoca erano tutti concordi nel ritenere il Brasile la grande favorita per la vittoria finale, al punto che praticamente nessuno aveva mai considerato la possibilità che le cose andassero diversamente. E fino a un certo punto del Mondiale – fino a 24 minuti dalla fine – nessuno pensò a un’altra possibilità.

La finale
Il Brasile arrivò alla finale del 16 luglio insieme all’Uruguay, una Nazionale che aveva vinto il Mondiale già una volta – la prima in assoluto, nel 1930 – ma che stavolta sembrava molto meno forte. La formula del torneo fu diversa rispetto al solito, a causa della mancata partecipazione di diverse squadre: ad ogni modo il Brasile era arrivato in finale dopo avere vinto il suo girone, con Messico (battuto 4-0), Jugoslavia (battuta 2-0) e Svizzera (con cui pareggiò 2-2). Poi, invece della classica fase a eliminazione diretta, si disputò un girone finale composto dalle squadre vincitrici dei quattro gironi della prima fase: Svezia, Brasile, Spagna e Uruguay. La prima classificata di questo girone avrebbe vinto la Coppa.

Nelle prime due partite del girone finale il Brasile aveva vinto 7-1 contro la Svezia e 6-1 contro la Spagna; l’Uruguay aveva pareggiato 2-2 con la Spagna e vinto 3-2 contro la Svezia. La vittoria valeva 2 punti, il pareggio 1, e quindi – prima dell’ultima decisiva partita, di fatto la finale del torneo – in classifica si ritrovarono Brasile con 4 punti e Uruguay con 3. Al Brasile sarebbe bastato un pareggio. Questa condizione di vantaggio, e la consapevolezza di avere una squadra più forte, spinse i tifosi a dare la vittoria del Mondiale praticamente per scontata.

Dopo il primo tempo finito 0-0, l’attaccante Friaça segnò il gol del vantaggio per il Brasile al secondo minuto del secondo tempo. A quel punto, per perdere il Mondiale, il Brasile avrebbe dovuto subire due gol in meno di un tempo di gioco, uno scenario che sembrava allora molto improbabile, soprattutto per come si erano messe le cose. Al 66esimo Schiaffino, attaccante dell’Uruguay, pareggiò, e 13 minuti più tardi Alcides Ghiggia segnò il gol del vantaggio, in un clima surreale. La partita finì 2-1 e l’Uruguay concluse il girone con 5 punti, vincendo il Mondiale.

In un interessante e tecnicamente pregevole articolo interattivo del New York Times, si racconta che diversi tifosi del Brasile, tra le migliaia presenti allo stadio, ebbero diversi malori, e che addirittura nei giorni seguenti alcuni si suicidarono per questa sconfitta. Gran parte delle colpe furono attribuite al portiere Moacir Barbosa, che in seguito giocò con la nazionale brasiliana solo un’altra volta. Tra i tifosi di calcio brasiliani Barbosa è ricordato soltanto per questa storia. Una volta, scrive il New York Times, Barbosa raccontò che una donna lo indicò e rivolgendosi alla figlia disse: “lui è l’uomo che ha fatto piangere il Brasile”. Barbosa morì nel 2000 per un attacco cardiaco.

Perché il Brasile ci tiene così tanto
Considerando che parteciperà a questo Mondiale con una squadra piuttosto forte – che già l’anno scorso vinse la Confederations Cup, un altro torneo quadriennale per Nazionali di calcio – la Nazionale brasiliana spera di poter vincere questa edizione del Mondiale anche per sfatare quella vecchia storia, che in molti in Brasile vivono come una maledizione. Il Brasile è la squadra che ha vinto più volte il Mondiale di calcio (5 in totale) e per questo motivo è soprannominata anche “Pentacampeões” (cinque volte campioni). Tra le otto nazionali che hanno vinto almeno un Mondiale – Uruguay, Italia, Germania, Brasile, Inghilterra, Argentina, Francia, Spagna – soltanto la Spagna e il Brasile sono le uniche due che non ne hanno vinto uno in casa.