Einaudi ha pubblicato il libro Qualcuno ci giudicherà di Pippo Civati, deputato del Partito Democratico già candidato alle primarie per la segreteria, e blogger del Post. Nel libro Civati espone la sua idea di politica e le sue proposte per il rilancio dell’Italia, e racconta, a partire dalla campagna condotta lo scorso anno per le primarie per l’elezione del segretario del PD, quali sono le differenze fra la sua visione della sinistra e quella del Presidente del Consiglio Renzi.
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Da troppi anni in Italia c’è una retorica dell’impossibile. Una retorica che si preoccupa di segnalare ciò che non va senza prendere i provvedimenti conseguenti, o che allarga le braccia di fronte alle soluzioni come a dire: «Sarebbe bello, ma non è possibile», atteggiamento immediatamente precedente alla giustificazione di qualsiasi pratica e del successivo, inevitabile compromesso.
È un continuo susseguirsi di espressioni negative − non è tempo per noi; i giovani sono la generazione perduta; i cervelli fuggono e i problemi restano − all’insegna di un’irriformabilità assunta come dato insuperabile: una sensazione da finis terrae e da fine del mondo che incombe. E tutto si fa emergenza, tutto invita alla velocità, a una costante accelerazione. Del nulla.
La cultura del baratro, in cui ogni cosa è all’ultimo stadio, in cui non hai più alternative (ma solo perché le hai sprecate tutte), in cui ogni cosa sa di odioso ricatto: o si fa così, o niente. Poi non importa se quello che facciamo non va bene. Che cosa potevamo fare di diverso, di fronte al baratro?
Questa retorica è funebre anche quando parla di qualcosa di nuovo. È piena di contumelie, di turpiloquio (il vaffa è liberatorio, ma se diventa una filosofia di vita c’è qualcosa che non va), estreme unzioni, esequie, morti, zombie: un paesaggio gotico. Ci si insulta, i toni sono sempre esasperati, il conflitto è drammatizzato e mai affrontato e risolto.
Prima di precipitare, si dovrebbe provare a ribaltare la questione. All’insegna di un motto che tenga insieme le cose, che parta da una rigenerazione necessaria: «Se non cambi tu, non cambia niente»; o, se preferite: «Le cose non cambiano se non sei tu a cambiarle». Anche la celebre frase di Kennedy: «Non chiederti quello che può fare il tuo Paese per te, chiediti quello che puoi fare tu per il tuo Paese», va bene; in Italia, però, va corretta e rafforzata: quello che puoi fare tu per il tuo Paese, ma pure quello che il tuo Paese può fare per te.
Tenere insieme i due livelli non è semplice, e per riuscirci ci vuole qualcosa di «antico». Ci vuole la politica. Sarà fuori moda, ma va pensata, riflettuta, organizzata, comunicata e promossa. Sulla base di un disegno che fa rima con impegno.
Come voleva Alexander Langer − pensatore che andrebbe riscoperto e portato a chi, per motivi di età, non ha avuto modo di conoscerlo − quando, in uno dei suoi ultimi lavori, rifletteva sulle difficoltà che la politica stava incontrando. Langer scrive nel 1995, ma le righe che seguono, tratte da Il viaggiatore leggero, potrebbero adattarsi perfettamente anche alla stagione attuale:
È un tempo, questo, in cui non passa giorno senza che si getti qualche pietra sull’impegno pubblico, specie politico. Troppa è la corruzione, la falsità, il trionfo dell’apparenza e della volgarità. Troppo accreditati i finti rinnovamenti, moralismi abusivi, demagogia e semplicismo. Troppo evidente la carica di eversione e di deviazione che caratterizza mansioni che dovevano essere di estrema responsabilità. Troppo tracotanti si riaffacciano la durezza sociale, la logica del più forte, la competizione selvaggia.
Davvero non si sa dove trovare le risorse spirituali per cimentarsi su un terreno sempre più impervio. Non sarà magari più saggio abbandonare un campo totalmente intossicato da non poter sperare in alcuna bonifica, e coltivare – semmai – altrove nuovi appezzamenti, per modesti che siano?
Langer parlava di Giona, precettato per raccontare agli abitanti di Ninive una novella così pesante e sgradevole che, pur di evitare il compito, preferì imbarcarsi sulla prima nave che andava in direzione opposta alla città.
Giona è un profeta «contro-voglia», un uomo della provvidenza suo malgrado, che cerca di resistere all’incarico che gli viene conferito. Cerca di sottrarsi al messaggio, nota ancora Langer, della demagogia: fosse per lui, il messaggio nemmeno lo porterebbe. Anche perché è carico di angoscia.