La sera di sabato 3 maggio, durante l’annuale cena con i giornalisti inviati alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha fatto una battuta piuttosto oscura – anche per chi segue l’attualità politica americana. Parlando di un campione di snowboard presente in sala, Obama ha detto: «Non avevo mai visto fare una giravolta di 180 gradi così rapida da quando Rand Paul ha disdetto l’invito a cena per quel rancher». La battuta ha bisogno di qualche spiegazione. Primo: Rand Paul è un politico repubblicano, un senatore considerato in grande ascesa, figlio del più noto ed esperto Ron Paul. Secondo: “quel rancher” è Cliven Bundy, un allevatore del Nevada che pochi giorni prima aveva fatto alcune battute razziste. Rand Paul, che aveva sempre difeso Bundy, è stato costretto a dissociarsene e criticarlo duramente: ma perché le dichiarazioni di un allevatore contano così tanto e coinvolgono un senatore?
Bundy è molto più di un semplice cowboy repubblicano a cui è scappata una battuta razzista. È piuttosto famoso e da molto tempo è un simbolo dell’estrema destra, per via di una causa aperta da vent’anni con il governo federale. Poche settimane fa insieme a decine di uomini armati è riuscito a respingere un tentativo di sequestrare la sua mandria da parte degli agenti del governo. Oggi è trincerato nel suo ranch, circondato da decine di uomini armati che hanno giurato di proteggere lui e la sua famiglia da quelli che chiamano i “soprusi” del governo. Il fenomeno delle milizie armate antigovernative – che sembrava scomparso alla fine degli anni Novanta – ha radici profondissime nella storia degli Stati Uniti, un paese nato proprio grazie alla ribellione contro un governo oppressivo e distante. Oggi però quelle “milizie” riportano alla mente degli americani alcuni degli episodi più tragici della loro storia recente, da Waco a Oklahoma.
Lo scontro è appena cominciato!
Cliven Bundy ha 67 anni ed è nato a Bunkerville, in Nevada. È mormone, ha 14 figli e più di 50 nipoti. Si guadagna da vivere (e piuttosto bene) grazie a una fattoria in mezzo al deserto del Nevada, in cui coltiva meloni e alleva mucche. Come molti altri allevatori dell’ovest, Bundy non porta al pascolo le mucche su terreni di sua proprietà ma su quelli di proprietà del governo federale, o meglio: del Bureau of Land Management (BLM), un’agenzia governativa che possiede l’83 per cento di tutta la terra del Nevada.
Da quando negli anni Novanta il governo ha deciso di impedire il pascolo in un pezzo di quell’area, per costruirci una riserva naturale per le tartarughe del deserto (una specie a rischio di estinzione), Bundy ha deciso di non pagare più la tassa che gli permetteva, al costo di circa 1,35 dollari al mese per ogni mucca, di pascolare le sue mandrie sui terreni federali. Dal 1993 a oggi Bundy ha accumulato quindi 1,1 milione di dollari di debiti nei confronti del BLM. Bundy sostiene che il governo federale non ha diritto di imporre tasse sulle terre che i suoi avi lavorano dal 1870. Dice di rispettare tutte le leggi dello stato del Nevada ma di non riconoscere alcuna autorità superiore (e quindi di non riconoscere il governo federale, quello con sede a Washington). Il lato comico di una rivolta cominciata a causa di una specie rara di tartarughe è stato ignorato da molti estremisti di destra e fanatici libertari, che hanno dato a Bundy un grande e concreto sostegno nella sua lotta contro i “soprusi” del governo – il sostegno politico, invece, gli è arrivato da alcuni pezzi del partito repubblicano e dalla rete televisiva Fox News (almeno fin quando non si è lasciato sfuggire un paio di battute razziste).
La ventennale contesa di Bundy ha avuto una svolta lo scorso aprile. Dopo anni passati nei tribunali – che hanno quasi sempre dato ragione al governo – a metà aprile il BML ha deciso di passare all’azione, sequestrando le mucche che violavano i confini dei terreni federali. È stata una scena da film western, ma nel 2014: decine di ranger del BML, a cavallo e armati di lazo, sono entrati nei terreni federali dove Bundy aveva lasciato al pascolo il suo bestiame e hanno iniziato a catturare le sue mucche. Bundy e la sua numerosa famiglia sono intervenuti quasi subito. Uno dei suoi figli è stato colpito da un taser – l’arma che stordisce con una scarica elettrica – e il video è circolato moltissimo sui siti e sui forum dell’estrema destra. Centinaia di persone sono arrivate a Bunkerville per aiutare Bundy: in poco tempo sui terreni contestati è nato un accampamento pieno di bandiere americane, birra, barbecue e fucili d’assalto. Il 13 aprile insieme a Bundy c’erano 400 persone e almeno altrettante armi da fuoco, per opporsi agli uomini del governo. Lui stesso, a cavallo, con una bandiera americana in mano, ha iniziato a manifestare davanti ai ranger – insieme a donne, bambini e altri uomini che cantavano slogan e reggevano cartelloni. Uno di questi era particolarmente evocativo e recitava: “Il West è stato conquistato? No, lo scontro è appena cominciato!”.
A pochi metri da questa manifestazione pacifica – e con un atteggiamento ben diverso – si erano schierati gli uomini delle milizie. Armati di AR-15, AK-47 e altre armi da guerra erano sdraiati sul ponte della vicina statale e tenevano le loro armi puntate sugli agenti federali. Erano in diverse decine, con giubbotti antiproiettile e divise mimetiche. Sono uomini che condividono gli ideali di Bundy e appartengono a organizzazioni con nomi evocativi: Milizia del Montana, Guardia Pretoriana e soprattutto i più organizzati e meglio armati di tutti: gli Oath Keepers, i “custodi del giuramento”, che hanno promesso di disobbedire a qualunque ordine in contrasto con la Costituzione americana – o almeno: con la loro interpretazione della Costituzione. Qui bisogna aprire una parentesi e spiegare che al contrario di quel che avviene in molti altri paesi (come l’Italia, per fare un esempio facile), negli Stati Uniti il culto sacrale della Costituzione è storicamente riservato alla destra e all’estrema destra, ai conservatori, a quelli che più ce l’hanno col governo, perché la Costituzione è il testo che regola i rapporti tra i singoli stati e sopratutto tra questi e lo stato federale. La sinistra e i progressisti sono di solito più legati al Bill of Rights, i primi dieci emendamenti alla Costituzione, che sanciscono tra gli altri la libertà di parola e di riunirsi, e alla Dichiarazione d’indipendenza, che contiene il principio di uguaglianza tra tutti gli uomini.
Ad ogni modo: la manifestazione è andata avanti per ore in un clima sempre più teso. Alla fine è intervenuta la polizia di Las Vegas. Dopo una breve trattativa gli agenti del governo hanno deciso – “per evitare violenze” – di ritirarsi e riconsegnare tutti i 380 capi di bestiame sequestrati a Bundy.
Molti testimoni hanno raccontato che la situazione era molto vicina allo sfuggire di mano. Miliziani e federali si sono spintonati e diverse troupe di giornalisti sono state malmenate e minacciate. “Se qualcuno mi punta una pistola, io gliela punto a mia volta”, ha detto uno dei miliziani. Il giorno prima dello scontro Bundy, mentre uno dei suoi figli era stato fermato dalla polizia, aveva dichiarato: «Hanno le mie mucche e ora hanno anche mio figlio. La guerra comincia domani!». Durante le ore di tensione in cui federali e miliziani si sono fronteggiati, in molti hanno pensato all’episodio che accadde vent’anni fa, in Texas. Come ha dichiarato uno degli uomini di Bundy: «So cos’è successo a Waco. Ho visto il modo in cui il governo ha bruciato quelle persone. Non permetteremo che succeda di nuovo».
Cos’è “Waco”: la strage del Monte Carmelo
Waco era la parola che gli uomini di Bundy gridavano e avevano scritto sui loro striscioni; ed era la parola che gli agenti federali e la polizia di Las Vegas pronunciavano a bassa voce. «Paragonare quello che sta succedendo qui a Waco non serve a nessuno», ha detto nel momento più intenso dello scontro Tom Roberts, vicecapo della polizia di Las Vegas. “Obama, non vogliamo un’altra Waco”, era scritto sui cartelloni degli uomini di Bundy.
Waco è una città di circa centomila abitanti nell’ovest del Texas, a pochi chilometri dal “Monte Carmelo”, il nome biblico che la setta dei davidiani aveva dato al loro tempio di cemento. I davidiani nacquero negli anni Cinquanta da uno scisma all’intero della chiesa degli Avventisti del settimo giorno. Come molte altre sette simili, i davidiani credevano nell’apocalisse, nei leader carismatici e nel diritto di possedere armi automatiche. La storia dei davidiani, un gruppo piccolo costituito da circa un centinaio di persone, fu lunga e particolarmente tormentata. Nel quasi mezzo secolo della loro storia ci furono lotte interne, furti di cadavere, sparatorie e sfide a compiere miracoli tra i vari aspiranti leader.
Alla fine degli anni Ottanta la leadership del culto venne conquistata da David Koresh, un individuo a metà strada tra il profeta e il truffatore. Koresh sosteneva che Dio gli avesse affidato la missione di procreare con le donne della setta in modo da stabilire una “stirpe di David” destinata a salvarsi dall’apocalisse. Gli uomini della setta dovevano rimanere celibi, mentre lui aveva il diritto di procreare con tutte le donne del gruppo. Koresh era poligamo e si sposò con ragazze che avevano a volte anche 14 anni. In una serie di articoli pubblicata alla fine del febbraio del 1993, intitolata “Il messia peccatore”, due giornalisti del Waco Tribune-Herald descrissero Koresh così:
“Se siete un davidiano, allora credete che Gesù Cristo viva su uno spoglio pezzo di terra chiamato “Monte Carmelo” a una decina di chilometri da Waco. Gesù ha le fossette, la licenza media, ha sposato sua moglie quando lei aveva 14 anni, gli piace la birra, suona la chitarra, gira con una Glock da nove millimetri, possiede un arsenale di fucili d’assalto e ammette apertamente di essere il peggiore dei peccatori.”
Poco prima che il Waco Tribune-Herald cominciasse a pubblicare i suoi articoli, Koresh e i davidiani avevano attirato l’attenzione delle agenzie governative federali. In particolare, quella del Bureau of Alcol, Tobacco and Firearms (ATF), che cominciò a interessarsi a un numero crescente di rapporti e testimonianze che indicavano come i davidiani stessero mettendo insieme un arsenale di armi illegali. L’ATF mise in piedi una maldestra operazione di sorveglianza che comprendeva anche l’invio di un agente sotto copertura. I davidiani si accorsero di essere sorvegliati e si prepararono a resistere.