Che cos’è la “net neutrality”

Negli Stati Uniti se ne parla molto di nuovo e ci sono grandi preoccupazioni per alcune regole che minacciano il principio alla base della gestione del traffico online: ovvero?

di Emanuele Menietti – @emenietti

Negli ultimi giorni si è tornati a discutere molto di net neutrality, letteralmente “neutralità della rete”, un concetto che ha alla sua base un principio abbastanza semplice: tutto il traffico su Internet deve essere trattato allo stesso modo, senza corsie preferenziali. Il confronto sul tema è stato rilanciato da alcune indiscrezioni di stampa e dalle dichiarazioni di Tom Wheeler – il presidente della Federal Communications Commission (FCC), l’agenzia governativa indipendente che regola il sistema delle comunicazioni negli Stati Uniti – secondo cui potrebbero essere decise nuove regole per permettere alle società che forniscono le connessioni online (provider) di trattare in modo diverso le cose che circolano sulle loro reti, favorendo il passaggio più veloce di alcune. Se questa impostazione dovesse essere confermata, verrebbe meno una delle caratteristiche fondamentali di Internet, che nel bene e nel male hanno garantito la sua libertà: la “neutralità”.

Da dove arriva
Per comprendere il concetto di net neutrality occorre fare qualche passo indietro e arrivare alla seconda metà dell’Ottocento. All’epoca naturalmente Internet non esisteva, ma c’era comunque la necessità di garantire il passaggio delle informazioni senza particolari limitazioni e discriminazioni attraverso mezzi di comunicazione emergenti come il telegrafo. Negli Stati Uniti si iniziò a parlare in modo esteso di neutralità delle reti in quel periodo, stabilendo una regola base: tutto il traffico su un determinato mezzo di trasmissione (o di trasporto) deve essere trattato allo stesso modo.

Il concetto attuale di net neutrality applicato a Internet è invece molto più recente, e risale a una dozzina di anni fa. Fu introdotto per la prima volta nel 2002 da Tim Wu, ora docente di legge presso la Columbia Law School di New York, e spiegato l’anno seguente in una ricerca in cui si ipotizzava di introdurre una regola chiara per evitare discriminazioni nella trasmissione dei contenuti su Internet.

Net neutrality
Semplificando: per collegarsi a Internet ognuno di noi deve passare attraverso un provider, una società che fisicamente gestisce il collegamento dalla propria casa ai suoi centri dati, che a loro volta permettono di accedere a qualsiasi sito in ogni parte del mondo. I provider fino a ora si sono comportati come fanno le poste con le lettere ordinarie: consegnano cose da X a Y senza tenere in considerazione il loro contenuto, trattando quindi ogni busta allo stesso modo e senza fare favoritismi. Chi sostiene la neutralità della rete vuole che le cose continuino a essere così, senza discriminazioni.

Più nello specifico, secondo i principi della net neutrality un provider non può bloccare o rallentare l’accesso a particolari siti o servizi online. Allo stesso modo, le società che danno le connessioni non possono nemmeno creare corsie preferenziali per fare in modo che un contenuto sia caricato più velocemente di un altro.

Così come una telefonata di Tizio deve essere inoltrata al ricevente nello stesso modo in cui avviene per una chiamata di Caio, i provider devono fare arrivare a un computer un video di YouTube o il post di un blog semisconosciuto senza limitazioni che penalizzino uno dei due. Per dirla più chiaramente: per la net neutrality il provider non può limitare la quantità di banda destinata a raggiungere un certo sito Internet rispetto a un altro, o destinata all’utilizzo di un certo software rispetto a un altro. Nè quindi proporre offerte commerciali basate su questo genere di differenziazioni (un abbonamento Internet per le news, un abbonamento Internet per i video, oppure uno che penalizza il traffico dei software di file-sharing, eccetera).

Sostenitori
Quando è nato Il Post quattro anni fa, nessuno della redazione ha dovuto pagare i provider per fare aggiungere il sito alle loro reti per potere essere visibile. Lo stesso è accaduto in passato per Google, Twitter, Facebook e qualsiasi altro sito o servizio online vi venga in mente. E nessun sito appena nato ha mai dovuto pagare qualcosa in più ai provider per assicurarsi di essere raggiungibile alla pari rispetto a siti online già da tempo. Questo modo di fare le cose, che da sempre è alla base di Internet, ha contribuito allo sviluppo libero e aperto della rete ed è probabilmente il modo migliore per capire che cosa significa net neutrality.

Per i sostenitori della neutralità della rete, è stata proprio la parità nel trattamento dei contenuti a decretare il successo di Internet. L’accesso alla pari, dicono, ha permesso a Google, Amazon, Yahoo di partire praticamente da zero e di diventare in pochi anni alcune delle società più grandi al mondo, lasciando al tempo stesso la possibilità ad altre piccole aziende di trovare un loro spazio e di crescere come nel caso di chi è arrivato più di recente sul mercato come Facebook e Twitter.

Se i provider si mettessero a chiedere ai siti che trasmettono video in streaming di pagare una tariffa aggiuntiva, perché consumano più banda rispetto al resto, probabilmente solo i servizi video più grandi come YouTube avrebbero le capacità e le risorse per contrattare e pagare le cifre richieste dai provider. Un sito di video emergente non riuscirebbe a tenere il passo e a sostenere i costi, rimanendo consegnato all’irrilevanza e senza possibilità di svilupparsi e di diventare il nuovo YouTube.

Contrari
Chi è contrario a regole troppo rigide sulla net neutrality sostiene che il trattamento alla pari del traffico potrebbe danneggiare l’innovazione da parte dei provider. Alcuni servizi, come per esempio quelli per le videochiamate, hanno la necessità di essere gestiti senza ritardi e con una quantità adeguata di banda. I provider potrebbero quindi sperimentare opzioni “premium” da fare pagare ai loro clienti, per dare la precedenza a un determinato tipo di traffico. In presenza di un’applicazione rigida della net neutrality questo non sarebbe possibile, e si potrebbe quindi limitare la possibilità per i provider di creare nuovi servizi, dicono i detrattori.

Evoluzione
Regolamentare in modo preciso Internet sui principi della net neutrality è comunque molto complicato proprio per come è fatta la rete: i sistemi per collegarsi e quelli per gestire il traffico cambiano e si evolvono di continuo, così come si modificano i servizi diventando in molti casi sempre più pesanti e quindi più ingordi di banda. A questo si aggiunge che negli ultimi anni si sono moltiplicati modi e possibilità di collegarsi a Internet, non solo tramite la normale connessione telefonica, ma anche via rete cellulare e altri sistemi senza fili.

Per quanto riguarda i cellulari, per esempio, le regole sulla neutralità della rete sono più blande perché si tratta di una tecnologia più giovane e si teme che troppe norme possano rallentarne crescita ed evoluzione. La disponibilità di banda sulle reti cellulari è inoltre inferiore rispetto a quella via cavo, e anche per questo motivo ha senso che le compagnie telefoniche possano limitare alcuni tipi di traffico o prevedere piani tariffari opzionali, per chi vuole avere più servizi.

Perché se ne parla negli Stati Uniti
Il dibattito sulla net neutrality negli Stati Uniti è ripreso negli ultimi mesi in seguito a una sentenza della Corte d’appello di Washington, DC, che ha sostanzialmente smontato l’Open Internet Order, una direttiva del 2010 della FCC che impediva ai provider di bloccare contenuti e fare discriminazioni “irragionevoli” online, mentre dava margini più ampi ai gestori mobili per le ragioni che abbiamo visto prima. Verizon, uno dei più grandi provider negli Stati Uniti, si oppose in tribunale alle nuove regole, dicendo che superavano i limiti imposti dal Congresso alla FCC per occuparsi del tema. A gennaio di quest’anno la Corte d’appello ha dato ragione a Verizon e ora la FCC deve preparare una nuova serie di regole sulla net neutrality.

Secondo diversi giornali statunitensi, a partire dal Wall Street Journal, il capo della FCC Wheeler proporrà nuove regole che impongono ai provider di non bloccare o discriminare il traffico verso siti o servizi in particolare. Sarà però consentito ai provider di mettere a disposizione corsie preferenziali a pagamento per i siti. Se questa soluzione sarà confermata, vorrà dire che YouTube potrà pagare i provider per assicurarsi la banda necessaria per i suoi video in streaming. La proposta dovrà essere votata a maggioranza dalla FCC, composta da tre democratici e due repubblicani. Wheeler è democratico e dovrebbe avere il sostegno degli altri suoi due compagni di partito.

Diversi osservatori ritengono che la proposta Wheeler porterebbe alla fine della net neutrality, almeno per come è stata concepita fino a ora negli Stati Uniti. Per risolvere la questione potrebbe intervenire il Congresso, ma fino a ora le iniziative di legge sul tema non hanno fatto molta strada a Washington, dove c’è sempre una certa avversione a regolare più di tanto i settori in cui sono attive migliaia di società private, alcune molto grandi e potenti, come quello di Internet.

E in Europa?
Almeno sulla carta, la neutralità della rete è tutelata con minori sfumature nell’Unione Europea. A inizio aprile il Parlamento europeo ha votato un regolamento sulle telecomunicazioni che, oltre ad avere sancito l’abolizione delle tarrife del roaming per i cellulari all’estero, ha previsto più garanzie per la net neutrality.

Il Parlamento europeo ha votato esplicitamente a favore del mantenimento della net neutrality, respingendo di fatto le richieste e le pressioni ricevute nei tempi recenti da operatori e grandi società di Internet, che vorrebbero modulare diversamente il traffico online a loro favore. Secondo la Commissione e il Parlamento, in questo modo si potrà continuare a tutelare la libera circolazione delle idee, negli interessi dei cittadini e senza tariffe aggiuntive per potere accedere a determinati contenuti.

Il regolamento approvato dal Parlamento europeo dovrà essere discusso dal Consiglio dei ministri europei, che detiene insieme con il Parlamento il potere legislativo. Il confronto proseguirà per diversi mesi e si arriverà a una votazione definitiva, che appare comunque scontata salvo sorprese, il prossimo ottobre.