Non ce l’ho nel DNA

Adriano Sofri su Eva Braun, gli ebrei e la pretesa di vedere nella genetica la causa di ogni cosa

GERMANY:Undated and unlocated picture of German Chancellor and "Reichsfnhrer" (chief) Adolf Hitler relaxing with his mistress Eva Braun. (Photo credit should read AFP/Getty Images)
GERMANY:Undated and unlocated picture of German Chancellor and "Reichsfnhrer" (chief) Adolf Hitler relaxing with his mistress Eva Braun. (Photo credit should read AFP/Getty Images)

Da qualche giorno circola la notizia che Eva Braun, la compagna e (nelle ultime ore di vita) anche la moglie di Adolf Hitler, avrebbe avuto origini ebraiche. Risulta dall’analisi del DNA fatto sui capelli provenienti da una spazzola ritrovata nella residenza di Hitler dove la donna aveva vissuto negli anni della seconda guerra mondiale. Le analisi sono state fatte per un documentario che verrà diffuso oggi mercoledì 9 aprile dalla rete britannica Channel 4. Adriano Sofri, su Repubblica di oggi, spiega come la notizia non sia da escludere, ma anche che «sull’intelligenza, i modi di vivere e la cultura», i geni non abbiano né la prima né l’ultima parola.

La notizia ha fatto il giro del mondo: Eva Braun era ebrea. Lo prova il suo Dna, rintracciato grazie a una spazzola da capelli. La notizia voleva colpire: che scherzi fa la storia! Però dava per assodato che l’antica questione di che cosa voglia dire essere ebrei si risolvesse (di nuovo) in un dato biologico: a definire l’essere ebrei è un’analisi del Dna.

Ormai, oltretutto, alla portata di (quasi) tutte le tasche, in rete. Il razzismo biologico, dall’Ottocento in qua, aveva proclamato di fornire un fondamento scientifico alle sue due pretese essenziali: 1-che il genere umano si divida in razze diverse, e 2-che le razze non siano solo diverse, ma superiori e inferiori. Inferiori fino al punto di meritare d’essere sterminate. Se il primo assunto, l’esistenza di razze diverse, fosse stato vero, la conseguenza — superiori e inferiori, fino alla “subumanità” — non sarebbe stata meno arbitraria, infame e criminale. Quella pretesa “scienza”, cui l’accademia italiana del ventennio si prostituì largamente, non era la premessa dell’odio razzista, ma la sua serva.

La genetica ha dimostrato la fallacia della nozione di razza (leggere Luigi Luca Cavalli Sforza): le diversità che impariamo ad apprezzare crescono su una formidabile omogeneità e somiglianza. Impareremo anche, prima o poi, a sentire più la somiglianza che la distanza dagli altri animali. Tuttavia questo, che è davvero un progresso, è contraddetto dall’invadenza con cui le meraviglie della genetica diventano luogo comune: “È nel mio Dna”. Una volta era il sangue, che “non mentiva”… Ma nel nostro Dna non è scritto niente di quello che pensiamo diciamo o facciamo, del gioco difensivo o di attacco della nostra squadra, della onestà del nostro partito, dell’avarizia di nostra zia. Ci siamo così abituati a giurare sul nostro Dna, da non batter ciglio alla notizia che Eva Braun era ebrea. Il che non è escluso, naturalmente.

(Continua a leggere l’articolo di Repubblica)

Foto: Adolf Hitler e Eva Braun, foto non datata (AFP/Getty Images)