Che cos’è “True Detective”

Le cose da sapere sulla nuova serie tv della HBO con Woody Harrelson e Matthew McConaughey, di cui parlano tutti benissimo (ma proprio benissimo)

di Antonella Vendola – @antonellaven

Lo scorso 12 gennaio è andata in onda la prima puntata di True Detective, una nuova serie televisiva prodotta da HBO, l’emittente televisiva statunitense famosa per le sue serie di alta qualità (tra le tante: The Wire, I Soprano, Six Feet Under, The Newsroom, Game of Thrones). La serie, arrivata alla sua quinta puntata su otto previste, sta avendo grande successo, soprattutto grazie alle ottime interpretazioni dei suoi protagonisti, Woody Harrelson e Matthew McConaughey, a una scrittura intensa e ricchissima di sfumature e a una costruzione molto cinematografica rispetto ai canoni di una serie televisiva.

True Detective è stata concepita come una serie antologica: se sarà rinnovata, avrà per ogni stagione interpreti e storie differenti. Racconta una storia che si sviluppa su diversi piani temporali, attraverso la ricerca di un serial killer in Louisiana durata diciassette anni. I due protagonisti, i detective Martin Hart e Rust Cohle, che avevano lavorato insieme al caso nel 1995, vengono richiamati dalla nuova squadra omicidi nel 2012 (quando ormai non si parlano più da dieci anni) per ricostruire quello che probabilmente è un caso non ancora chiuso.

La coppia non è il classico binomio poliziotto buono/poliziotto cattivo: Martin Hart (Woody Harrelson) ha una famiglia ed è apparentemente il più solido tra i due, ma mostra presto tutte le sue debolezze e ambiguità; Rust Cohle (Matthew McCounaghey, candidato all’Oscar per Dallas Buyers Club) è invece un personaggio esplicitamente controverso, segnato da molte esperienze drammatiche nella vita e nel lavoro, e ha una visione della vita cupa e nichilista.

I salti temporali della narrazione mostrano, oltre allo sviluppo delle indagini, l’evoluzione delle vite dei protagonisti: più che l’indagine poliziesca in sé, infatti, è questa la vera storia principale, perché è il rapporto tra i due detective a influenzare le vicende raccontate e non il contrario. Una prova di questo è l’uso continuo della voice over: il racconto nel presente dei due detective viene sovrapposto alle immagini relative al passato, creando spesso delle incongruenze tra ciò che sentiamo e ciò che vediamo. Come ha scritto il giornalista Dustin Rowles, «il caso del serial killer è secondario rispetto allo sviluppo dei personaggi. True Detective parla di due uomini che lottano contro i loro stessi demoni, e che si ritrovano a lavorare insieme sul caso di un serial killer, ed è questo caso che porta a galla tutti i loro problemi. Il vero mistero non è chi sia l’assassino ma chi sono questi due uomini».

Per questo non è esatto definire True Detective una semplice crime o detective story: i protagonisti non sono supereroi, non incarnano il mito machista del poliziotto, non sono portatori di messaggi e lezioni morali. L’esplorazione delle loro debolezze e della loro evoluzione esistenziale è dovuta soprattutto alla scrittura di Nic Pizzolatto, un romanziere alla sua prima sceneggiatura, che firma dialoghi molto profondi – alcuni hanno giudicato la serie “lenta” – in cui l’approccio alla vita diretto e quasi rozzo di Martin si contrappone alle riflessioni filosofiche di Rust. Pizzolatto usa la vicenda del serial killer quasi come un pretesto, per addentrarsi spesso in un’indagine psicologica che tocca argomenti come la vita, la morte, l’amore, la paura, la presenza (o l’assenza) di Dio, l’inevitabilità della sofferenza.

La regia e l’ambientazione restituiscono allo stesso modo la profondità del racconto: il regista Cary Joji Fukunaga – vincitore del premio alla regia al Sundance Festival nel 2009 per la sua opera prima Sin Nombre – si sofferma molto sullo spazio, insistendo spesso sulle riprese del paesaggio piovoso, grigio e povero della Louisiana, fatto di paludi e panorami quasi primitivi, attraverso riprese a campo lunghissimo e una fotografia molto curata (per gli appassionati dal punto di vista tecnico, poi, Fukunaga regala una sequenza emozionante alla fine della quarta puntata, con un incredibile piano sequenza lungo sei minuti). Il paesaggio è, come ha spiegato Pizzolatto in un’intervista, il vero e proprio terzo protagonista della serie.

Sia Pizzolatto che Fukunaga hanno firmato tutte le otto puntate della prima stagione, una cosa rara per le regole della serialità americana, dove quasi sempre ci sono diversi autori che si alternano alla scrittura e alla regia delle varie puntate: anche per questo motivo True Detective ha un’uniformità e una coerenza molto cinematografiche.

La serie tv ha ricevuto un enorme successo di critica, oltre che di pubblico. Christopher Orr ha scritto sull’Atlantic che «è la serie tv più avvincente del momento, vanta una serie quasi imbarazzante di pregi: un’interpretazione ipnotizzante dell’uomo del momento di Hollywood, Matthew McConaughey; un ruolo da co-protagonista poco meno notevole di Woody Harrelson; una struttura intricata e dialoghi ultra-lettarari scritti da Nic Pizzolatto; una regia degna del cinema di Cary Joji Fukunaga, e un formato da antologia che potrebbe contribuire a cambiare il modo in cui è prodotta la tv di fascia alta». Sempre secondo Orr la serie ricorda i lavori del regista David Fincher (che ha diretto Seven, The Social Network e le prime due puntate della serie tv House of Cards) nei temi trattati, nell’estetica e soprattutto nell’atmosfera, «vivida, inquietante, con il male che può spuntare fuori in ogni minuto».

L’interpretazione di McConaughey è considerata da tutti eccezionale. Sarah Hughes ha scritto sull’Independent che «per molti attori sarebbe stato impossibile non esagerare nell’interpretare Cohle. La forza di McConaughey, come quella dell’altrettanto disinvolto Robert Mitchum, sta nella sua fermezza». Secondo Dustin Rowles «a parte Crasnton [che interpreta Walter White di Breaking Bad], non ricordo di aver mai visto qualcuno padroneggiare in questo modo la tv come fa McConaughey, vestendo talmente i panni di un personaggio che è facile perdersi nelle sue parole, che – se lette – scivolano spesso nel banale». Stando a Mike Hale del New York Times, invece, la lunghezza e la prevedibilità dei monologhi del personaggio di McConaughey sono proprio il punto debole della serie.

Pizzolatto – che ha scritto da solo ogni parola della serie senza aver mai realizzato prima una sceneggiatura – è stato paragonato ad alcuni dei creatori delle serie tv più apprezzate di sempre, come David Simon di The Wire e David Chase dei Soprano: secondo Hughes, è riuscito a creare al pari di David Simon «un mondo che è istantaneamente, completamente suo». Pizzolatto ha già firmato un contratto di due anni con HBO per una nuova serie tv.

Tra i tanti dettagli lodevoli della serie ci sono anche i titoli di testa, che Orr definisce «una cornice fantastica, lunatica ed evocativa» e la canzone che li accompagna, Far From Any Road di Handsome Family, che aiuta lo spettatore a capire subito l’atmosfera della serie. Alan Yuhas scrive sul Guardian che la serie è «un gran divertimento», spiegando che «lo spettacolo merita davvero per la storia intricata, l’attenzione ai dettagli e le grandi performance (compresa quella di Michelle Monaghan, che fa molto con poco interpretando la moglie di Hart). True Detective è sinistro, scuro, a volte pomposo ma vale ogni minuto del tempo che gli dedicate».