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  • Lunedì 18 novembre 2013

Le nuove violenze in Libia

A Tripoli sono state uccise decine di persone, il vicecapo dell'intelligence è stato rapito: c'entrano le milizie armate e la debolezza del governo, ma forse c'è una buona notizia

Members of the Tripoli Rebels Brigade militia patrol a main road in Tajura, 15 kms from the capital Tripoli, on November 16, 2013, after foiling attempts by Misrata-based militiamen to advance into the city earlier in the day. The Misrata brigade attacked an army barracks, setting off clashes in which one person was killed and eight wounded, according to Colonel Mosbah al-Harna, commander of a brigade nominally under the authority of the defence ministry. AFP PHOTO/MAHMUD TURKIA (Photo credit should read MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images)
Members of the Tripoli Rebels Brigade militia patrol a main road in Tajura, 15 kms from the capital Tripoli, on November 16, 2013, after foiling attempts by Misrata-based militiamen to advance into the city earlier in the day. The Misrata brigade attacked an army barracks, setting off clashes in which one person was killed and eight wounded, according to Colonel Mosbah al-Harna, commander of a brigade nominally under the authority of the defence ministry. AFP PHOTO/MAHMUD TURKIA (Photo credit should read MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images)

Negli ultimi giorni la Libia è finita di nuovo sulle homepage di molti siti di news di tutto il mondo. Venerdì 15 novembre almeno 43 persone sono state uccise in una serie di scontri a Tripoli tra una milizia armata di Misurata, città costiera nord-occidentale, e migliaia di manifestanti che chiedevano che la stessa milizia se ne andasse dal quartiere Gharghour della capitale. Sabato gli scontri a Tripoli sono proseguiti mentre domenica, durante il primo dei tre giorni di sciopero generale indetto dal Consiglio cittadino per chiedere l’allontanamento delle milizie armate da Tripoli (la domenica in Libia è un giorno feriale), il vicecapo dell’intelligence libica, Mustafa Noah, è stato sequestrato fuori dall’aeroporto internazionale della capitale, secondo fonti di Reuters da una milizia armata. Finora comunque nessun gruppo ha rivendicato l’azione.

Il rapimento e gli scontri dell’ultimo fine settimana sono di nuovo il risultato della rivalità tra le diverse milizie armate che agiscono quasi indisturbate nel paese dalla caduta di Mu’ammar Gheddafi, nell’ottobre del 2011. Queste milizie fanno capo per lo più alle diverse tribù, circa 140 in Libia, che chiedono maggiore autonomia dal governo centrale di Tripoli. Durante la guerra del 2011 questi gruppi si allearono per sconfiggere il nemico comune, il regime di Gheddafi: molti arrivarono a Tripoli, presero il controllo di alcuni quartieri della città, si scontrarono con le forze governative, ma poi alla fine della guerra non se ne andarono più. Inoltre ebbero modo di rafforzarsi parecchio perché entrarono in possesso di moltissime armi appartenenti al regime, nascoste in magazzini sparsi per il paese.

Con la caduta di Gheddafi, dopo un periodo in cui la Libia fu governata da un comitato che raggruppava le opposizioni, il potere passò nelle mani del primo ministro Ali Zeidan, nominato il 14 novembre 2012 dal nuovo Parlamento appena eletto democraticamente. Il governo di Zeidan, però, si dimostrò fin da subito troppo debole per controllare tutto il territorio nazionale. Fu in qualche modo costretto ad arruolare alcune milizie per creare servizi di sicurezza semi-ufficiali, su cui però non riuscì a imporre del tutto il controllo. Oggi i libici che fanno parte ufficialmente delle decine di milizie sotto il controllo statale sono oltre 225mila. Anche per le strade di Tripoli si possono vedere ancora uomini armati provenienti da due gruppi rivali sfidarsi gli uni di fronte agli altri, seduti sui loro pick-up allestiti con armi della contraerea: una delle milizie più forti della capitale è proprio quella di Misurata, che si è resa responsabile dello scontro armato di venerdì in cui sono rimaste uccise decine di persone.

La rivalità tra le varie milizie rispecchia gli scontri interni al traballante governo libico: i gruppi più laici fanno riferimento al ministero della Difesa, mentre i gruppi islamisti fanno capo al ministero dell’Interno. Chi comanda chi, comunque, non sempre è chiaro. Lo stesso Parlamento è diviso su linee simili, con l’Alleanza delle Forze Nazionali – coalizione elettorale che raggruppa circa 60 movimenti politici libici di ispirazione moderata e laica – che si scontra con il braccio politico del movimento islamista dei Fratelli Musulmani.

In ogni caso la manifestazione di venerdì, e il conseguente sciopero di tre giorni indetto dalla città, sono stati considerati segnali positivi da diversi commentatori ed esperti di Libia: è stata la prima occasione dalla caduta di Gheddafi in cui gli abitanti di Tripoli si sono uniti per chiedere di cacciare le milizie dai quartieri della capitale. La richiesta sembra poter dare i suoi frutti: in un comunicato congiunto diffuso domenica dal Consiglio cittadino di Misurata e dal Consiglio degli anziani, si dice che tutte le milizie armate della città che operano a Tripoli – senza alcuna eccezione – dovranno abbandonare la capitale nel giro di 72 ore.

Gli eventi degli ultimi giorni si sono andati ad aggiungere alla serie di violenze e di episodi assurdi che sono successi in Libia da qualche mese a questa parte. Il più importante e noto è sicuramente il rapimento-arresto del primo ministro Zeidan, che nella notte tra mercoledì 9 e giovedì 10 ottobre è stato portato via dall’albergo Corinthia a Tripoli da una milizia legata al ministero dell’Interno. L’11 novembre scorso un gruppo della minoranza berbera amazingh della città di Zuwarah, sulla costa nord-occidentale della Libia e a pochi chilometri dal confine con la Tunisia, ha costretto alla chiusura dalle 13 alle 14 locali il gasdotto sottomarino “Greenstream”, che porta il metano a Gela, in Sicilia. I berberi chiedevano al governo centrale che gli fossero riconosciuti più diritti, in particolare una migliore rappresentanza nel parlamento nazionale.