I 30 anni del Grande Freddo

Allora fu un film molto bello che parlava di amicizie, fallimenti e consolazioni: oggi è datato, o è ancora bello? (date un'occhiata)

«Manca un senso e non va a parare da nessuna parte. Dapprima pensai fosse una debolezza del film. Ma è possibile anche che sia il suo messaggio». Lo scrisse uno dei più grandi e matti critici cinematografici americani, Roger Ebert, del film Il grande freddo. Che era uscito nei cinema americani trent’anni fa, il 28 settembre 1983, e poi occupò uno spazio discreto ma solido nella cultura cinematografica americana e non solo.

Il grande freddo è un film di Lawrence Kasdan, che allora aveva già scritto come autore cose come i due seguiti di Guerre Stellari, I predatori dell’arca perduta, Chiamami aquila, ed era stato regista di Brivido caldo. Era un protagonista di un rinnovamento di facce e nomi del cinema hollywoodiano degli anni Ottanta, quello eterogeneo di Harrison Ford, John Belushi, Glenn Close, Jeff Goldblum, Steve Martin, William Hurt, Mickey Rourke, Kathleen Turner, Kevin Kline, tra gli altri. La maggior parte di questi fu il nuovo star system di quel decennio, ma scomparve dalle prime file abbastanza rapidamente. Alcuni di loro furono arruolati insieme per Il grande freddo: Goldblum, Kline, Hurt, Close, e poi anche Tom Berenger, Meg Tilly, e in un ruolo diventato notissimo nella storia del cinema, Kevin Costner (fa il morto: le scene in cui compariva da vivo furono escluse dal montaggio, quindi non lo si vede mai).

Il gruppo riuscì a rendere benissimo l’idea del gruppo intorno a cui gira la storia del film: la riunione per un funerale (la scena iniziale, memorabile, con la canzone dei Rolling Stones) di alcuni vecchi amici che avevano condiviso gli anni dell’università e dei movimenti giovanili degli anni Sessanta (ma senza esservi tutti coinvolti allo stesso modo), e il confronto tra ciò che erano, ciò che volevano essere e ciò che erano diventati, in un film che poi era anche una commedia di relazioni personali e storie individuali. Spesso è stato raccontato come il film del riflusso nel privato dei baby boomers (o post sessantottini, nelle semplificazioni italiane), ma in realtà queste ambizioni erano molto più sfumate e confuse, come notò Ebert. Forse “You can’t always get what you want”, la canzone iniziale, è un pezzo di quel senso.

Il grande freddo è un gran bel film di amicizie e tempo che passa e difficoltà delle vite di tutti. C’è dentro qualcosa di consolatorio tipico di molto cinema americano, ma che è a sua volta una delle ragioni per cui certo cinema americano riesce così bene. C’è qualcosa che è un po’ datato (ma l’originale scelta delle canzoni vintage fece metà del suo successo) ma potreste vederlo, o rivederlo, stasera, e vi piacerebbe. Eventualmente provate (sta su iTunes) e fateci sapere. Sono passati altri trent’anni, intanto.