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  • Mercoledì 25 settembre 2013

La moglie dello stupratore

La storia di Punita Devi, che ha vent'anni ed è sposata con uno degli stupratori di Delhi condannati a morte: ora non l'aspetta niente di buono

Indian Hindu widows sit on the stage as they wait after Holi celebrations organized by the NGO Sulabh at the Meera Sahbhagini Ashram in Vrindavan, India, Wednesday, March 27, 2013. The widows, many of whom at times have lived desperate lives in the streets of the temple town, celebrated the festival for the first time at the century old ashram. After their husband's deaths the women have been banished by their families to the town where devotees believe Lord Krishna was born, for supposedly bringing bad luck. (AP Photo/Kevin Frayer)
Indian Hindu widows sit on the stage as they wait after Holi celebrations organized by the NGO Sulabh at the Meera Sahbhagini Ashram in Vrindavan, India, Wednesday, March 27, 2013. The widows, many of whom at times have lived desperate lives in the streets of the temple town, celebrated the festival for the first time at the century old ashram. After their husband's deaths the women have been banished by their families to the town where devotees believe Lord Krishna was born, for supposedly bringing bad luck. (AP Photo/Kevin Frayer)

Lo scorso 13 settembre i quattro uomini riconosciuti colpevoli di aver stuprato in gruppo una studentessa di 23 anni su un autobus a Delhi, morta alcuni giorni dopo a causa delle ferite, sono stati condannati a morte da un tribunale speciale dell’India. Il sistema legislativo indiano prevede diversi livelli di appello e spesso le condanne a morte, eseguite per impiccagione, vengono trasformate in ergastolo. Comunque andrà, però, i quattro uomini non torneranno a casa: la loro assenza avrà conseguenze terribili anche per le loro mogli.

Krishna Pokharel, giornalista del Wall Street Journal, ha intervistato e raccontato la storia di una di loro: Punita Devi, moglie di Akshay Kumar Singh, che ha poco più di 20 anni e un figlio di 2. Punita Devi vive con la famiglia del marito, come da tradizione, a Karmalahang, un paese del Bihar, stato nell’entroterra dell’India nord-orientale. Quello che la aspetta, dopo la condanna del marito, è essere cacciata dai suoi suoceri, subire un vero e proprio ostracismo e finire in totale miseria. E non perché è sposata con uno stupratore e un assassino che è stato condannato a morte, ma semplicemente perché è una donna senza marito: «In quanto vedova il mio onore sarà perso per sempre», ha spiegato.

La famiglia del marito di Devi dice che non può più permettersi di darle da mangiare. I suoi genitori dicono che sono troppo poveri per occuparsi di lei e del bambino. Le tradizioni patriarcali che resistono in molte parti dell’India, compresa quella dove vive Devi, rendono quasi impossibile per lei non solo lavorare ma anche uscire di casa senza essere accompagnata da un familiare maschio. Punita Devi deve attendere l’arrivo del buio anche semplicemente per andare nel campo dietro casa sua a defecare. «Io non ho studiato e le nostre tradizioni non mi permettono nemmeno di uscire di casa. Chi guadagnerà dei soldi per dar da mangiare a me e a mio figlio?». La suocera di Punita Devi spiega: «Nella nostra famiglia le donne muoiono in casa. Non sono mai potute andare fuori».

Punita Devi è cresciuta in un piccolo villaggio a circa 130 chilometri da Karmalahang, dove si è trasferita dopo il matrimonio. La sua famiglia d’origine coltivava un piccolo terreno in una zona perennemente colpita dalla siccità. Ha tre sorelle maggiori e un fratello minore. I genitori hanno smesso di mandarla a scuola dopo la prima media per farla stare a casa a cucinare e a pulire: avendo poche possibilità, hanno scelto di far studiare il figlio maschio (non è un’eccezione: in tutta l’India l’alfabetizzazione tra le donne è inferiore rispetto a quella degli uomini; nelle zone rurali meno del 60 per cento delle donne sa leggere contro l’80 per cento dei maschi). Punita spiega di aver saputo, fin da piccola, che cosa ci si aspettava da una donna: sposarsi, crescere i figli e prendersi cura della casa. «Ho imparato come avrei dovuto comportarmi quando mi sono sposata e sono andata a vivere a casa dei miei suoceri semplicemente guardando mia madre», dice. La madre, Lilavati Devi – molte donne in questa parte dell’India utilizzano “Devi” come cognome, parola che significa “dea” – era solo una bambina quando si è sposata. Ora ha 60 anni e ha trascorso gran parte della sua vita dentro i confini del suo piccolo campo e tra le mura di casa.

I genitori di Punita Devi hanno organizzato il matrimonio con Akshay Kumar Singh nel 2010 grazie all’intermediazione di una donna di un villaggio vicino, che era sposata con uno dei fratelli maggiori di Singh. «Non sono stata costretta, ma è stata una decisione presa dai miei genitori. Qui in campagna funziona così. Nella vita di una donna, il matrimonio e il marito sono tutto». Punita Devi si è dunque trasferita portando con sé una semplice dote (un letto di legno e alcuni utensili da cucina) nella famiglia del marito, con i suoceri, i fratelli del marito, le loro mogli e figli. Il suo nuovo villaggio, Karmalahang, è molto povero, la coltivazione dei campi è difficoltosa, non ci sono industrie. Così il marito si è dovuto trasferire in città per cercare lavoro, e per questo si trovava a Delhi. «Non gli ho mai chiesto dove fosse o cosa stesse facendo», dice Punita. «Sapevo che andava a guadagnare dei soldi».

Il caso di Punita Devi potrebbe sembrare straordinario, ma è in realtà molto comune. Per i più poveri, un solo incidente o imprevisto come la perdita di un capofamiglia, un raccolto scarso, una malattia, può portare alla crisi dell’intera famiglia. Per le donne, soprattutto nelle aree rurali del paese dove vive il 70 per cento della popolazione, questo vale ancora di più. La loro subalternità nell’ambito dei rapporti familiari e sociali impedisce qualsiasi riscatto o ricerca di indipendenza, anche economica.

In molte parti dell’India – che ha avuto un primo ministro donna nel 1960, Indira Gandhi – le donne sono ancora considerate oggetti di proprietà prima del padre, poi del marito, infine dei figli maschi. Si occupano della casa, lavorano da sole tutti i principali generi alimentari quotidiani, lavorano nei campi, mangiano per ultime dopo il marito, i figli maschi e le figlie femmine, separatamente in cucina; è previsto che nessuna di loro, e di nessuna età, possa fare qualcosa in maniera indipendente. E questo vale ancor di più nell’India settentrionale, dove gli uomini hindu dominano gerarchicamente le aree rurali. Dopo il matrimonio la sposa va a vivere come straniera presso la famiglia del marito, viene tenuta sotto controllo dalle donne più anziane e il suo comportamento è fondamentale per l’onore del marito. L’unico modo di scalare la gerarchia interna alla casa è partorire figli maschi. Amnesty International ha calcolato che in India il 45 per cento delle donne sposate subisce violenze fisiche e morali dai loro mariti, ma il divorzio è molto raro poiché rappresenta una vergogna per la famiglia e un’ammissione di fallimento della donna come moglie. Con il divorzio, la donna perde qualsiasi diritto sulla casa o su qualunque altro bene e, spesso, viene ripudiata anche dal proprio padre (non potendo dunque tornare nemmeno nella casa dove è nata).

Le conseguenze del divorzio, quelle della vedovanza, e quelle di qualsiasi altra ragione che lascino una donna senza marito non sono molto differenti. Una donna senza un uomo accanto ha ben poche alternative. Dopo l’arresto del marito, in aprile Punita Devi ha preso un treno per New Delhi per andare a trovarlo in carcere. Era la prima volta che andava in città. Lui le ha detto di essere forte, di cercare un lavoro: «Voglio che tu viva e voglio che educhi nostro figlio». Parlando dei fatti della notte dello stupro, Punita Devi ha detto di non capire come una donna potesse essere fuori la sera con un uomo che non fosse suo marito. «Mi sento debole», ha dichiarato dopo aver saputo della condanna a morte. «C’è qualcuno che può pensare a me? Io sono ancora viva e ho un bambino piccolo che sta ancora respirando».

Foto: donne indiane, marzo 2013(AP Photo/Kevin Frayer)