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  • Venerdì 13 settembre 2013

Gli stupratori di Delhi sono stati condannati a morte

Lo ha stabilito un tribunale speciale indiano, ora dovrà esprimersi la Corte Suprema

Indian students of Saint Joseph Degree college participate in an anti-rape protest in Hyderabad on September 13, 2013. The judge hearing the case of four men convicted for a shocking gang rape on a bus in New Delhi in December 2012 sentenced them to death. AFP PHOTO / Noah SEELAM (Photo credit should read NOAH SEELAM/AFP/Getty Images)
Indian students of Saint Joseph Degree college participate in an anti-rape protest in Hyderabad on September 13, 2013. The judge hearing the case of four men convicted for a shocking gang rape on a bus in New Delhi in December 2012 sentenced them to death. AFP PHOTO / Noah SEELAM (Photo credit should read NOAH SEELAM/AFP/Getty Images)

I quattro uomini riconosciuti colpevoli di aver stuprato il 16 dicembre 2012 una studentessa di 23 anni su un autobus a Delhi, morta alcuni giorni dopo a causa delle ferite, sono stati condannati a morte da un tribunale speciale dell’India. Il 10 settembre erano stati giudicati colpevoli per diversi capi di accusa, tra cui omicidio, stupro di gruppo, sequestro di persona e distruzione di prove. A chiedere che i quattro uomini ricevessero la condanna più severa era stata la famiglia della ragazza: «Non accetteremo altro che la condanna a morte» e secondo quanto riporta il New York Times la maggior parte delle persone in India sembrano condividere questa posizione.

Il giudice Yogesh Khanna, che oggi ha pronunciato la condanna a morte, ha detto che «l’aggressione è stata commessa in modo estremamente brutale, mostruoso, diabolico, rivoltante e ignobile, tanto da suscitare una viva ed estrema indignazione della società. In questi tempi, in cui i reati ai danni delle donne sono aumentati, la corte non può chiudere un occhio su eventi così orribili». Il giudice ha anche detto che la ragazza «è stata torturata fino alla fine con una brutalità e depravazione eccezionali».

Il processo per lo stupro di Delhi era cominciato il 3 gennaio. Inizialmente gli imputati erano sei: Ram Singh, l’autista, suo fratello Mukesh, Pawan Gupta, Vinay Sharma, Akshay Thakur e un ragazzo che all’epoca dei fatti aveva 17 anni. Lo scorso 11 marzo, Ram Singh era stato trovato morto nella sua cella nel carcere di Tihar, a New Delhi. La polizia aveva detto che Singh si era impiccato, ma il suo avvocato e la famiglia sostenevano che fosse stato ucciso. Sulla sua morte è stata aperta un’inchiesta di cui non si conoscono ancora i risultati. L’uomo di 17 anni è stato condannato il 31 agosto dal tribunale minorile al massimo della pena prevista dalla legge indiana sui minori: tre anni in un carcere minorile.

Nonostante nel paese si commettano stupri e attacchi con l’acido su donne e minori quasi quotidianamente, lo stupro di Delhi è diventato un caso soprattutto per la brutalità con cui la giovane donna – di cui non si conosce il nome completo – era stata stuprata e poi abbandonata per strada insieme con un amico. La vicenda aveva provocato manifestazioni di protesta in tutto il paese e aveva portato all’approvazione di nuove norme per garantire maggiore sicurezza e protezione per le donne, oltre a leggi più dure contro la violenza di genere, con l’introduzione nell’aprile 2013 della pena di morte in due casi: quando la donna stuprata muore o viene ridotta allo stato vegetativo e per i recidivi.

Il sistema legislativo indiano prevede diversi livelli di appello, grazie ai quali le condanne a morte (eseguite per impiccagione) sono spesso trasformate in ergastolo. Le condanne a morte devono essere confermate dalla Corte Suprema che nel 1980 ha stabilito che questo tipo di pena può essere applicata solo se il caso rientra tra quelli “più rari tra i rari”. E questo per mantenere la pena di morte nei codici – il 20 dicembre 2012, l’India ha votato contro la risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – ma usarla, di fatto, il meno possibile. Finora non c’è stata però nessuna uniformità da parte dei tribunali dell’India nello stabilire quali casi rientrino tra “i più rari tra i rari”. Se la Corte dovesse confermare le sentenze dei quattro uomini, la decisione finale, in base all’articolo 72 della Costituzione indiana, spetterebbe al presidente, che ha il potere di concedere la grazia, di sospendere, rinviare o commutare la pena di una persona condannata per qualsiasi reato. Non c’è un tempo prestabilito nel quale il Presidente deve prendere questa  decisione.

Secondo le statistiche del National Crimes Record Bureau (NCRB) indiano, tra il 2001 e il 2011, i tribunali dell’India hanno condannato a morte 1.460 persone, una media di 146 condanne all’anno. Nello stesso periodo le condanne a morte di 4.321 prigionieri sono state trasformate in carcere a vita e negli ultimi 17 anni nel paese ne sono state eseguite solamente tre. A seguito dello stupro di gruppo del dicembre 2012 a Delhi, il numero di condanne a morte pronunciate dai giudici di grado inferiore è cresciuto notevolmente. I tribunali dell’Odisha occidentale hanno condannato almeno cinque persone per stupro e omicidio. I tribunali del Bihar quattro, quelli del Jharkhand due, quelli del Punjab tre e quelli del Madhya Pradesh dodici.

foto: NOAH SEELAM/AFP/Getty Images