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  • Venerdì 6 settembre 2013

Il G20 e la Siria in mezzo

Le notizie e le foto dalla riunione tra i grandi leader del mondo che si è conclusa oggi a San Pietroburgo, comprese notturne e infruttuose conversazioni

Venerdì 6 settembre a San Pietroburgo si è tenuto il secondo e ultimo giorno di riunioni del G20, l’incontro tra i leader dei venti paesi più industrializzati (19 più una rappresentanza dell’Unione Europea) organizzato quest’anno dalla Russia. Gli ospiti si sono confrontati su diversi temi legati all’economia – soprattutto crescita e occupazione – ma hanno parlato anche della Siria, e del piano degli Stati Uniti di condurre un intervento militare contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad, accusato di avere usato armi chimiche contro la popolazione. Nelle loro due conferenze stampa distinte, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e quello della Russia Vladimir Putin hanno confermato di non avere trovato una linea comune sull’intervento militare: il governo russo continua a essere nettamente contrario a qualsiasi ipotesi di attacco.

Putin ha spiegato che un intervento militare destabilizzerebbe il Vicino Oriente e che sarebbe controproducente. Ha detto che la discussione sul tema tra i leader si è protratta nella notte tra giovedì e venerdì ben oltre la mezzanotte, ma senza che si raggiungesse una posizione unitaria. Putin e Obama hanno confermato di essersi parlati da soli, esponendo le loro ragioni e senza però trovare nessun tipo di accordo o di linea comune.

Obama ha spiegato che la maggior parte dei leader ha concordato sul fatto che in Siria siano state usate armi chimiche e che sia necessario fare qualcosa. Alla domanda su che cosa farà il governo statunitense nel caso di un voto contrario del Congresso all’intervento, Obama ha preferito non rispondere. In una dichiarazione comune, Stati Uniti, Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Spagna (che al G20 partecipa nella rappresentanza UE), Turchia e Regno Unito hanno detto di essere favorevoli a una “forte risposta internazionale” sul problema della Siria.