Cose di sinistra

Erano il cambiamento, la ricerca di un futuro diverso, il rischio, dice Michele Serra: ma la sinistra conservatrice di oggi ne è spaventata

Aerial picture taken on June 19, 2013 in Villelongue shows people standing on a damaged road near the flooded Gave de Pau river one day after unseasonal storms caused havoc across huge swaths of the country. AFP PHOTO LAURENT DARD (Photo credit should read LAURENT DARD/AFP/Getty Images)
Aerial picture taken on June 19, 2013 in Villelongue shows people standing on a damaged road near the flooded Gave de Pau river one day after unseasonal storms caused havoc across huge swaths of the country. AFP PHOTO LAURENT DARD (Photo credit should read LAURENT DARD/AFP/Getty Images)

In prima pagina su Repubblica, martedì, c’è una riflessione di Michele Serra sull’ormai annoso tema della ritirata della sinistra italiana verso posizioni “conservatrici” e sulla sua paura di rischiare, degli insuccessi, di pensare futuri diversi.

Se dire “qualcosa di sinistra” fosse così facile, in molti l’avrebbero già detta, questa cosa. O per ruolo politico o per dovere intellettuale o anche solo per fare bella figura. Ma così non è stato, specie negli ultimi anni; tanto da far sospettare (i più sospettosi) che la sinistra abbia trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti, pur sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo; o da far temere (i più timorosi) che la sinistra abbia esaurito strada facendo la sua funzione storica, e taccia, dunque, non per calcolo ma per inettitudine. Per totale smarrimento. Sono abbastanza vecchio di questi luoghi — la sinistra, le sue persone, le sue parole, i suoi giornali, i suoi interminabili dibattiti — da poter azzardare un’ipotesi un poco (solo un poco) più precisa.
La sinistra, dalla Rivoluzione francese in poi, è quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di organizzare il cambiamento della società. Prima interpretandolo e poi orientandolo. Progettare il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua ragione d’essere; e il verbo “cambiare” è stato, per molte generazioni di intellettuali e di militanti, di uso quotidiano. Quasi stucchevole per quanto spesso lo si impiegava: l’Italia che cambia, cambiamo l’Italia, l’Italia da cambiare. Nella celebre definizione del giovane Marx, «il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato delle cose presente». È un assetto di pensiero del tutto radicale, si capisce; ma contiene lo stesso germe che anima i riformismi anche più blandi: lo “stato delle cose presente” è insoddisfacente e dunque va cambiato. Si deve lavorare per cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in meglio, si intende) e attraverso quali leve, quali mezzi. Il mondo deve
migliorare e la storia deve andare avanti. Per quanto approssimativa e schematica, la vecchia distinzione storica tra conservatori e progressisti, per generazioni, non ha conosciuto sostanziali smentite: la destra era per la conservazione, la sinistra per il progresso.

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