• Italia
  • Mercoledì 5 giugno 2013

Le storie dell’ILVA di Taranto

Adriano Sofri tra incidenti, materiali tossici, rifiuti non smaltiti: «chiunque sia il commissario deve fermare gli impianti e bonificare», dicono gli operai

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
30-04-2012 Roma
Politica
Palazzo Chigi - Consiglio dei Ministri
Nella foto Enrico Bondi

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
30-04-2012 Rome
Council of Ministers
In the photo Enrico Bondi
Foto Roberto Monaldo / LaPresse 30-04-2012 Roma Politica Palazzo Chigi - Consiglio dei Ministri Nella foto Enrico Bondi Photo Roberto Monaldo / LaPresse 30-04-2012 Rome Council of Ministers In the photo Enrico Bondi

Adriano Sofri commenta oggi su Repubblica la nomina di Enrico Bondi a commissario straordinario per il risanamento dell’ILVA di Taranto, e lo fa raccontando molte storie sui problemi dello stabilimento, attraverso le parole degli operai tra stratificazioni di materiali tossici e rifiuti non smaltiti.

«Bondi? È come prendere il centravanti della squadra avversaria e farlo arbitro». «Sai quei film western, dove arriva il castigamatti, e il vecchio che fabbrica le bare si frega le mani. Solo che Bondi fa tutte e due le parti». «Si sono ripresi tutto, il comando, e i miliardi».

Non sono affatto contenti gli operai dell’Ilva. Dal commissario potevano aspettare il ripristino di una legalità produttiva e di un clima umano: gli operai trattati come interlocutori liberi e competenti e i quadri restituiti al gusto del lavoro fatto bene. Si chiedono come si concili l’amministratore dei Riva col commissario del governo. (Sempre ieri, sono stati resi noti i pessimi dati sui tumori a Taranto). La tragicommedia Ilva approda così a “1 commissario (pagato come il Primo Presidente della Cassazione), 2 sottocommissari, 5 esperti, 2 garanti, 3 custodi tecnici, 1 custode amministratore, 2 presidenti…” (composizione rettificata in extremis, ndr).

Ammesso che loro interessi, abbozziamo un quadro dell’azienda come la descrivono i principali esperti, gli operai.
«All’Acciaieria 2 c’è un carroponte pieno di amianto, ci rifiutiamo di salirci, si guida col joy-stick, ma con gli accrocchi di fili sospesi l’amianto è smosso di qua e di là. E dicono che con le “pratiche operative” si può maneggiare…». «Alla colata continua vanno quattro linee, nonostante i pochi operai e il caos: niente pezzi di ricambio, smontiamo tutto e rimontiamo, torna buono anche un tubo raccolto per terra. Sabato era esplosa una siviera (la caldaia di colata), un’iradiddio. Lunedì al trattamento siviere un operaio si è ustionato la faccia con un getto incandescente, non aveva la maschera, bisognerà vedere perché. I guanti ormai li danno 2 o 3 volte al mese». «Per tagliare le bramme si riusano le punte ossitali vecchie, un rumore bestiale. Manca il gasolio per i mezzi». C’è stato un ennesimo “slopping”, grave. Succede così: si immette ossigeno nel convertitore della ghisa liquida in acciaio; se le cappe non aspirano a dovere, si sprigiona la nuvola arancione di ossido di ferro. «Come quando versi la birra in fretta, e la schiuma trabocca. Se il carroponte versa in mezzo minuto invece che in tre o quattro, la ghisa trabocca e i fumi si spandono».

(continua a leggere sulla rassegna stampa della regione Lombardia)

foto: Enrico Bondi (Roberto Monaldo / LaPresse)