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  • Mercoledì 17 aprile 2013

L’AGCOM e i diritti televisivi del calcio

L'autorità garante ha chiesto di cambiare i criteri con cui vengono spartiti, per non favorire solo le grandi squadre e attrarre investimenti

A picture taken on August 26, 2012 shows a cameraman before the French L1 football match Paris Saint-Germain (PSG) vs Girondins de Bordeaux at the Parc des Princes stadium in Paris. AFP PHOTO JACQUES DEMARTHON (Photo credit should read JACQUES DEMARTHON/AFP/GettyImages)
A picture taken on August 26, 2012 shows a cameraman before the French L1 football match Paris Saint-Germain (PSG) vs Girondins de Bordeaux at the Parc des Princes stadium in Paris. AFP PHOTO JACQUES DEMARTHON (Photo credit should read JACQUES DEMARTHON/AFP/GettyImages)

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM) ha fatto una segnalazione al governo e al Parlamento per chiedere di modificare la legge che stabilisce come vengono ripartiti i soldi dei diritti televisivi (più correttamente “diritti audiovisivi”) tra le squadre di Serie A, cioè i soldi che le emittenti televisive pagano annualmente alle squadre per poter trasmettere le partite. Per il campionato 2012-2013, il valore complessivo dei diritti televisivi è stato di 966 milioni di euro.

Cosa chiede l’AGCOM
L’AGCOM, che è presieduta da Giovanni Pitruzzella, sostiene che bisognerebbe stabilire una ripartizione delle risorse secondo il “merito sportivo” e in base a una decisione presa da un soggetto terzo, diverso dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A (LNP-A, comunemente conosciuta come Lega Serie A e fino al 2010 Lega Calcio). Secondo l’AGCOM, l’associazione delle squadre non rappresenterebbe infatti un soggetto terzo e imparziale, nell’assegnazione dei soldi derivanti dalla vendita dei diritti televisivi. Inoltre, dovrebbero essere cambiati i criteri attuali, che si riferiscono ai risultati “storici”, sostituendoli invece con non ben specificati meriti sportivi.

Questa proposta, spiega l’AGCOM, ha lo scopo di rendere più competitivo e più attraente il campionato di Serie A: «un evento sportivo ha infatti una maggiore attrattiva quando c’è equilibrio tecnico tra le squadre e quindi incertezza sul risultato», c’è scritto nel comunicato. Questa ipotetica situazione potrebbe anche attrarre più investitori nel calcio italiano, soprattutto nei confronti delle società più piccole. L’attuale meccanismo non aiuterebbe infatti profitti diffusi, che andrebbero invece principalmente alle solite squadre.

Oltre ai criteri di distribuzione, secondo l’AGCOM andrebbe cambiato anche il soggetto che se ne occupa: la Lega Serie A non può essere imparziale, si sostiene, perché i suoi organi sono composti dai rappresentanti delle squadre, che potrebbero quindi prendere decisioni a proprio vantaggio, influenzando così la scelta complessiva.

Come funziona oggi
Il decreto legislativo n. 9 del 2008 attribuisce alla Lega Serie A, in quanto organizzatore del campionato e “contitolare” dei diritti televisivi, il compito di stabilire le regole per la ripartizione. La Lega Serie A le ha stabilite nell’articolo 19 del suo Statuto, approvato il primo luglio 2010. Bisogna però chiarire che i diritti tv non sono spartiti soltanto tra le squadre di Serie A del campionato in corso (una parte va alle squadre retrocesse negli ultimi anni, come vedremo), e bisogna distinguere tra quote fisse e quote variabili.

Una quota, diciamo una “prima fetta”, rappresentata dal 40 per cento del totale, viene suddivisa in modo paritario tra le venti squadre di Serie A. Una seconda quota del 30 per cento, diciamo una “seconda fetta”, viene suddivisa in base al “bacino d’utenza”, che si distingue per il 25 per cento in base alla “quota di sostenitori” e per il 5 per cento in base alla “quota popolazione”. Una terza fetta, del 30 per cento, viene invece assegnata in base ai risultati sportivi, a sua volta suddivisa in tre diversi punti.

La “quota di sostenitori”
La quota di sostenitori rappresenta il numero di tifosi calcolato ogni tre anni da tre diverse società di ricerche di mercato: numero riferito a una determinata squadra, nel territorio italiano, calcolato con una media ponderata. Nessuna squadra può però avere più del 25 per cento delle risorse: la parte eccedente viene suddivisa tra le altre. Juventus, Inter, Milan, le prime tre, otterrebbero insieme (in base ai dati della stagione 2009/2010) il 57 per cento di questa seconda “fetta”. E si capisce quanta differenza ci possa essere per esempio con il Chievo, che è un quartiere della città di Verona.

La “quota popolazione”
Il 5 per cento della seconda quota, la “seconda fetta”, viene suddivisa in proporzione al numero di abitanti del comune di riferimento della squadra, calcolato sul totale degli abitanti dei comuni con almeno una squadra in Serie A, in base alla più recente rilevazione dell’ISTAT (l’Istituto nazionale di statistica). Questo meccanismo, tra l’altro, avvantaggerebbe ancor di più le città in cui ci sono due diverse squadre, come Milano, Roma, Torino, Genova.

I “risultati sportivi”
La terza quota del totale delle risorse, del 30 per cento, viene assegnata in base ai risultati sportivi. Questa cifra si suddivide ulteriormente in tre quote, cioè tre diversi criteri che si riferiscono ai risultati sportivi. La prima è la quota assegnata in base ai risultati della stagione in corso, in base a come si è conclusa la classifica della stagione. Non vengono quindi prese in considerazione la Coppa Italia, la Supercoppa italiana, o i risultati delle squadre a livello internazionale.

La seconda è la quota assegnata in base ai risultati degli ultimi cinque anni, sempre riferendosi alla classifica di Serie A: in questo caso, quindi, nel calcolo rientrano anche le squadre che nelle stagioni precedenti giocavano in Serie B. La terza quota di questo capitolo riguarda infine i risultati storici: questa parte è distribuita in base ai risultati sportivi ottenuti dalle varie squadre, nelle competizioni diverse dal campionato (nazionali o internazionali), a partire dalla stagione 1946-1947.

Foto: JACQUES DEMARTHON/AFP/GettyImages