Il documento di Fabrizio Barca

Si chiama "Un partito nuovo per un buon governo", e sostiene in 55 pagine che "senza una nuova forma partito" l'Italia non può essere ben governata

Foto Roberto Monaldo / LaPresse07-04-2013 RomaPoliticaRai Tre - Trasmissione tv "In Mezz'Ora"Nella foto Fabrizio BarcaPhoto Roberto Monaldo / LaPresse07-04-2013 Rome (Italy)Tv program In Mezz'Ora"In the photo Fabrizio Barca
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Fabrizio Barca, ministro uscente per la Coesione territoriale, ha diffuso oggi un documento intitolato “Un partito nuovo per un buon governo”, di cui ha parlato in tv negli ultimi giorni. Barca è stato descritto più volte dalla stampa come aspirante alla segreteria del Partito Democratico, che farà un congresso quest’anno, e lui ha confermato domenica a Lucia Annunziata di ambire a entrare nel suo gruppo dirigente.

Il pieno e il vuoto, le cose fatte e quelle apprese della mia azione di governo per la “coesioneterritoriale” sono resi manifesti dai materiali raccolti nel sito www.coesioneterritoriale.gov.ite dal Rapporto di fine mandato. Questa stessa azione, ogni singola esperienza dei miei sedici mesi di lavoro, nel territorio e a Roma, suscita una secca conclusione politica: senza una “nuova forma partito” non si governa l’Italia. Ovunque si pone il problema di una nuova forma partito. In Italia questo obiettivo ha rilievo eurgenza straordinari di fronte alla sfiducia radicale e al risentimento che circonda i partiti, alla persistente incapacità di buon governo, alla crisi culturale, prima ancora che economica e sociale, che il paese attraversa. Queste pagine sono dedicate a sostenere questa conclusione e asuggerire la funzione e i tratti di una nuova forma partito che permetta il buon governo. Non mi riferirò a un partito in genere – per il quale, pure, larga parte delle considerazioni che svolgo paiono adatte – ma a un partito di sinistra, essendo questo ciò che mi preme. Prima di procedere, sono necessari tre caveat.

Viviamo un momento di grave crisi, internazionale, europea e ancor più italiana. Che richiede un forte presidio di governo. Non ci sono dubbi. Tuttavia, questo presidio avrà effetto solo se contemporaneamente sarà avviato il ridisegno dei partiti. Senza esitazioni o l’alibi che altre sono le urgenze. Si deve cambiare, perché la crisi è figlia anche della crisi dei partiti. È un progetto per il quale servono molte persone di buona volontà, coese e capaci di lunghi cammini. In secondo luogo, è evidente che le difficoltà di governare l’Italia derivano anche dall’incompiutezza e dalle incertezze dell’Unione Europea, dalla sua incapacità di fronteggiare la seconda più grave crisi della storia del capitalismo, mettendo in discussione i paradigmi errati che l’hanno indotta e rilanciando il disegno della cittadinanza europea. Al tempo stesso, è altrettanto evidente che per tornare a dare un contributo politico forte all’Unione, che ne concorra a sbloccare lo stallo – la miopia o fragilità di altri fondatori mostra quanto ce ne sia bisogno – l’Italia deve essere ben governata. Senza una nuova forma partito ciò non mi appare possibile. L’ultimo caveat è che non penso davvero che bastino alcuni anni di militanza giovanile in un partito e poi i lavori di tecnico, amministratore pubblico e ministro e neppure – anche se conta più del resto – la vicinanza profonda con un protagonista della migliore politica – mi riferisco a mio padre – per proporre in modo solitario il programma politico di un partito nuovo. Nel razionalizzare i mieipensieri di sedici mesi, ho fatto dunque affidamento su alcuni importanti contributi le cui idee miauguro di aver ben usato, e sulle reazioni e importanti suggerimenti di chi ha pazientemente letto una prima, rozza versione. E, soprattutto, considero queste pagine solo un passo preliminare, che cerca il confronto con altri saperi, sentimenti e “memorie”.

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foto: Roberto Monaldo / LaPresse