È Natale

Per gli armeni, mentre per gli ortodossi sarà domani: il perché è una bella storia, che ha a che fare con Giulio Cesare e dieci giorni che non sono mai esistiti

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Russian Patriarch Kirill delivers a Christmas service at the cathedral of Christ of Savior, in Moscow, early on January 7, 2013. Orthodox Christians celebrate Christmas on January 7 in the Middle East, Russia and other Orthodox churches that use the old Julian calendar instead of the 17th-century Gregorian calendar adopted by Catholics, Protestants, Greek Orthodox and commonly used in secular life around the world. AFP PHOTO / ALEXANDER NEMENOV (Photo credit should read ALEXANDER NEMENOV/AFP/Getty Images)
Russian Patriarch Kirill delivers a Christmas service at the cathedral of Christ of Savior, in Moscow, early on January 7, 2013. Orthodox Christians celebrate Christmas on January 7 in the Middle East, Russia and other Orthodox churches that use the old Julian calendar instead of the 17th-century Gregorian calendar adopted by Catholics, Protestants, Greek Orthodox and commonly used in secular life around the world. AFP PHOTO / ALEXANDER NEMENOV (Photo credit should read ALEXANDER NEMENOV/AFP/Getty Images)

In molti paesi del mondo lunedì, 7 gennaio, si festeggia il Natale. A Mosca, ad esempio, si sta preparando la Cattedrale di Cristo Redentore per la grande messa di mezzanotte che sarà celebrata questa notte. Gli stessi preparativi sono in corso a Gerusalemme, in Serbia, Bulgaria, Ucraina e persino in Etiopia. Altri ancora festeggiano il Natale oggi: si tratta della chiesa armena ortodossa (con un’eccezione geografica che vedremo dopo).

Tutti gli altri paesi che festeggiano il Natale il 7 gennaio appartengono alla grande famiglia del cristianesimo orientale ortodosso (anche se alcune chiese ortodosse, come quella greca, festeggiano il Natale il 25 dicembre come i cattolici). Il motivo dell’esistenza di questa “linea del Natale” che separa con una certa precisione cattolici e protestanti da un lato e cristiani orientali e ortodossi dall’altro risale a Giulio Cesare e ha a che fare con un anno composto da 365 giorni e un quarto e ai giorni dal 5 al 14 ottobre 1582, che non sono mai esistiti.

Partiamo dall’inizio: più o meno tutti noi siamo convinti che quello che noi chiamiamo “anno” sia composto da 365 giorni e da 366 ogni quattro anni. Ma questo non è esatto: questa era la durata del cosiddetto calendario giuliano, che venne abbandonato circa 500 anni fa. Sul nostro calendario attuale torneremo più avanti. Mentre, a proposito del calendario giuliano, bisogna ricordare che venne elaborato nel primo secolo avanti Cristo dall’astronomo greco Sosigene di Alessandria. Nel 46 a. C., Giulio Cesare, in qualità di pontefice massimo – cioè supremo sacerdote di Roma che aveva l’incarico, tra le altre cose, di tenere il conto ufficiale degli anni – decise di adottarlo come calendario ufficiale.

All’epoca, o comunque di lì a poco, Roma avrebbe dominato direttamente o indirettamente tutto il bacino del Mediterraneo e qualcosa anche oltre, diffondendo insieme alle strade, le terme e le fogne, anche il suo calendario giuliano. Avere un unico calendario valido per tutto il mondo conosciuto era certamente un vantaggio per tutti, ma il calendario voluto da Giulio e e inventato da Sosigene aveva anche un grosso difetto.

Un anno giuliano aveva una durata media di 365 giorni e sei ore, cifra ottenuta facendo la media tra 3 anni da 365 giorni e uno da 366. Il problema era che un anno, secondo le osservazioni astronomiche, è lungo in media 365 giorni, 5 ore e poco meno di 50 minuti, cioè è più breve di 11 minuti e qualche secondo. Questo significava – e all’epoca già si sapeva – che ogni 128 anni il calendario giuliano si sarebbe ritrovato in ritardo di un giorno rispetto alla posizione del Sole (che alla fin fine è quello che il calendario misura). Si arrivò così al 1582 in cui, secondo le osservazioni astronomiche, la primavera era già cominciata quando il calendario segnava ancora l’11 marzo.

Avere solstizi ed equinozi nei giorni sbagliati del calendario, però, non era il problema principale. Ciò che fece decidere per un cambiamento di calendario fu che risultava sbagliato il calcolo della Pasqua e quindi le celebrazioni non venivano più officiate nel giorno giusto. A prendere la decisione di cambiare le regole fu papa Gregorio XIII, che impose il calendario che usiamo ancora oggi, il calendario gregoriano.

La riforma di Gregorio fu piuttosto drastica. Per recuperare i giorni perduti venne stabilito che dopo venerdì 4 ottobre si sarebbe passati direttamente a sabato 15: i dieci giorni di mezzo, in un certo senso, non sono mai esistiti. Questo però non risolveva il problema della durata media dell’anno. Per evitare di perdere altri dieci giorni nel migliaio di anni successivo venne stabilito che gli anni multipli di cento sarebbero stati bisestili soltanto se fossero stati multipli anche di 400.

Il 2000 è stato un anno bisestile, quindi. Il 1900 non lo è stato e non sarà bisestile nemmeno il 2100. Secondo il calendario giuliano, e secondo la nozione comune per cui gli anni bisestili cadono ogni quattro anni, gli anni “tondi” avrebbero invece dovuto essere tutti bisestili come il 2012. Con il nuovo calendario l’errore annuale veniva ridotto da 11 minuti e qualcosa a soli 26 secondi: il calendario gregoriano, quindi, necessita di correzioni soltanto una volta ogni 3.323 anni.

Si trattava di un gran passo avanti, ma c’era un altro grosso problema, questa volta di natura storica e religiosa. All’epoca di Gregorio, la fine del Cinquecento, l’Europa era ormai saldamente divisa tra cattolici, luterani e calvinisti, mentre l’Europa orientale era quasi tutta, da più di cinque secoli, di religione ortodossa. Chi non era cattolico non vedeva di buon occhio le novità che arrivavano da Roma. La riforma venne subito adottata dai paesi cattolici e dai territori ad essi sottoposti: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia, Belgio, Paesi Bassi e gran parte della Germania meridionale. I paesi protestanti si adattarono soltanto nel corso del 18° secolo, quando le rivalità religiose si erano affievolite e quando ormai gli scambi frequenti tra i paesi avevano reso avere due calendari diversi una vera seccatura.

I paesi ortodossi rimasero i soli a seguire il calendario giuliano, per almeno un paio di motivi. Erano molto più lontani e quindi avevano molti meno rapporti con i paesi che avevano adottato la riforma, e quindi la discrepanza tra i due calendari portava a meno equivoci, anche se qualche problema lo causò comunque: nel 1805, mentre facevano la guerra a Napoleone, Austriaci e Russi pasticciarono con le date dei due calendari, mancarono un incontro e facilitarono il lavoro a Napoleone che li sconfisse prima ad Ulm e poi nella famosa battaglia di Austerlitz.

Il secondo motivo fu che lo scisma tra la chiesa orientale e quella cattolica, avvenuto poco dopo l’anno Mille – la data convenzionale è il 1054 – venne fondamentalmente causato dal fatto che a Oriente non volevano riconoscere la supremazia del Papa. Per gli ortodossi era molto difficile accettare di compiere i loro riti sulla base di un calendario introdotto proprio dal Pontefice. A Oriente si mantenne il vecchio calendario e il divario di giorni salì nel corso dei secoli da 10 a 13. Il calendario gregoriano venne introdotto in Russia soltanto in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917: che in realtà, secondo il nostro calendario, dovrebbe chiamarsi rivoluzione di novembre.

Ma numerose chiese ortodosse, in particolare quelle più legate al patriarcato di Mosca, come quella ucraina, georgiana e bulgara, non accettarono mai il calendario del Papa di Roma, quindi continuano a festeggiare il Natale 13 giorni dopo la data gregoriana, cioè il 7 gennaio (le altre feste “scalano” di conseguenza: l’Epifania è il 19 gennaio).

E allora gli armeni, che lo festeggiano il 6 gennaio? Si tratta di una storia ancora diversa, che non ha nulla a che fare con il calendario. Nei Vangeli non si parla della data della nascita di Cristo e per tutti i primi secoli di storia del cristianesimo vennero usate date diverse per la Natività. Queste date venivano spesso scelte perché coincidevano con festività preesistenti. Le due più usate erano il 25 dicembre e il 6 gennaio. Nel sesto secolo un imperatore romano decise di fare ordine e stabilì che il giorno giusto era il 25 dicembre. All’epoca però, l’Armenia era piuttosto oltre la portata di Roma e quindi vennero mantenute le antiche tradizioni, per cui Natività ed Epifania si festeggiano lo stesso giorno: il 6 gennaio.

Quindi, ricapitolando: gli ortodossi accettano il 25 dicembre come data del Natale, ma il loro calendario delle festività – il calendario liturgico – è indipendente da quello civile e basato sull’antico calendario giuliano, per cui festeggiano il Natale 13 giorni dopo di noi. Il risultato concreto è che festeggiano il 7 gennaio. Gli armeni da tempo antico sostengono che Natale sia il 6 gennaio e hanno accettato il nostro calendario, quello gregoriano. C’è un’ultima cosa da dire: a Gerusalemme invece vige ancora il giuliano, per cui va a finire che si festeggia il Natale… il 19 gennaio (6 gennaio + la differenza di 13 giorni). Tra l’altro gli armeni – e solo loro – festeggiano il Natale e l’Epifania insieme, il che ha senso, visto che niente vieta di pensare che i Magi siano arrivati da Gesù la sera stessa della sua nascita.

Rimane l’ultima domanda: in questi paesi, si scambiano i regali sotto l’abete il 7 gennaio? Gli ucraini ortodossi si scambiano i regali la sera della vigilia di Natale, quindi stasera 6 gennaio, così come fanno in Georgia. In entrambi i paesi si usano alberi addobbati; in Ucraina a portare i regali sono gli angeli, mentre in Georgia è Nonno Neve. Ma non sempre il tradizionale scambio di regali annuale coincide con il Natale. In Russia, ad esempio, il Natale è una festa esclusivamente religiosa. I regali si scambiano sotto un abete addobbato la sera del 31 dicembre, quando la tradizione vuole che passi di casa in casa la versione russa di Babbo Natale: Ded Moroz, o Nonno Gelo.