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  • Mercoledì 10 ottobre 2012

Perché ci sono regioni a statuto speciale

In breve: per ragioni che appartengono a un'altra epoca, tra rivendicazioni austriache e lotte indipendentiste

(Tatiana Rodriguez / Unsplash)
(Tatiana Rodriguez / Unsplash)

Le regioni italiane sono nate con la Costituzione italiana, che entrò in vigore il primo gennaio 1948: come è noto, però, le regioni non entrarono in funzione subito. Furono una delle principali innovazioni nella struttura dello Stato introdotte dalla nuova Costituzione ma fino al 1970 non venne eletto alcun consiglio regionale: tranne quelli delle regioni a statuto speciale, che avevano una storia a parte.

Le regioni a statuto speciale, che sono previste dall’articolo 116 della Costituzione, non vennero decise tutte insieme e sono nate con motivazioni parzialmente diverse. La parziale autonomia della Sicilia, iniziata già con l’invio dell’Alto commissario Francesco Musotto nel 1944, venne confermata nel 1946 con un decreto firmato dall’allora Luogotenente del Regno d’Italia per conto del padre Vittorio Emanuele III, il principe Umberto di Savoia. Il motivo era il forte movimento indipendentista siciliano, che a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale aveva cominciato a diventare molto numeroso. Il principale partito politico che lo portava avanti era il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, che arrivò a formare anche piccoli gruppi armati con il nome di Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana (EVIS). Ci furono alcuni scontri e il MIS riuscì ad eleggere alcuni deputati all’Assemblea regionale, ma la concessione dell’autonomia riuscì a arginare il movimento separatista, che si sciolse nel 1951.

Le prime elezioni dell’Assemblea regionale siciliana avvennero nel lontano aprile del 1947, ma già l’anno prima si erano tenute le elezioni in Valle d’Aosta. Intanto iniziarono i lavori per stendere la nuova Costituzione della Repubblica italiana, e si parlò a lungo dei poteri da dare alle regioni a statuto speciale: un grande cambiamento, per uno stato come l’Italia che dalla sua nascita aveva sempre avuto un’impostazione molto centralizzata. I motivi di questa concessione all’autonomia regionale venivano dalle spinte autonomistiche di alcune aree geografiche e soprattutto, come abbiamo visto, della Sicilia.

Inizialmente le regioni a statuto speciale furono quattro: Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. La legge costituzionale che aggiunse anche il Friuli-Venezia Giulia venne proposta e approvata solo molto tempo dopo, all’inizio del 1963. Ogni statuto speciale aveva i suoi motivi e la sua storia particolare: in Sardegna, i politici locali avevano cominciato a parlare di autonomia già alla fine della Seconda guerra mondiale (ma ne ottennero poi una più limitata di quella siciliana); in Trentino-Alto Adige l’autonomia venne concessa anche per le rivendicazioni territoriali austriache, il cui governo trattò con quello italiano per le tutele da dare alla minoranza tedesca, e come compensazione per l’opera di “italianizzazione” forzata durante il fascismo; per motivi simili (la tutela della minoranza francese) venne concesso lo statuto speciale anche alla Valle d’Aosta.

Nel 1949 le elezioni regionali si tennero in Sardegna e in Trentino-Alto Adige, che successivamente si divise (eliminando l’assemblea regionale unica) nelle due province autonome di Trento e di Bolzano. In Friuli-Venezia Giulia le prime elezioni furono nel 1964: qui l’autonomia venne concessa, oltre che per il problema di Trieste e delle contese territoriali con la Jugoslavia, perché si trattava di un’area che per molti decenni ebbe problemi di sviluppo economico.

Anche le competenze delle diverse regioni a statuto speciale sono diverse. Sono regolate dagli Statuti delle singole regioni speciali, che vengono approvati dallo Stato con leggi costituzionali. Le più ampie sono quelle della Sicilia, che quindi è la regione “più autonoma” di tutte: solo la Sicilia, come aveva spiegato qualche settimana fa LaVoce.info, ha la cosiddetta «competenza esclusiva» in una ventina di campi elencati all’articolo 14 e 15 dello Statuto regionale (tra cui agricoltura, industria, urbanistica, lavori pubblici, turismo e istruzione elementare). In quelle materie, lo Stato centrale non ha potere legislativo in Sicilia e tutte le decisioni sono prese dagli organi regionali.

Questa distinzione dei poteri ha causato parecchi problemi nel corso degli anni, dovuti al fatto che le regioni a statuto speciale devono comunque applicare “grandi riforme” statali: le diverse interpretazioni (e i ricorsi) nascono naturalmente quando bisogna decidere che cosa debba essere considerato “grande riforma”.

Ovviamente, alla maggiore autonomia delle cinque regioni si accompagna anche una diversa distribuzione delle risorse. Prendiamo ancora il caso della Sicilia: la regione ha autonomia tributaria, cioè trattiene per sé tutte le imposte raccolte nel suo territorio ad eccezione di quelle sulla produzione e su lotterie e tabacchi. Oltre a questo, lo Stato versa annualmente una cifra alla regione per il “fondo di solidarietà nazionale”. Questa cifra integrativa, motivata dal minor reddito medio dei cittadini siciliani, non è mai stata fissata con criteri univoci una volta per tutte, ma viene contrattata annualmente tra lo Stato e la regione e ammonta ad alcune centinaia di milioni di euro ogni anno.

Negli ultimi anni ci sono state alcune modifiche importanti nell’ambito delle regioni: la modifica del Titolo V della Costituzione ha dato più autonomia a tutte le regioni e in un certo senso ha ridotto la particolarità delle regioni a statuto speciale. Inoltre, in particolare nel centrodestra, ci sono state negli ultimi anni molte prese di posizione contro gli statuti speciali, ritenuti “ingiusti”, troppo costosi e da superare con un ordinamento statale di tipo federale. Di certo, osservando il quadro politico di ciascuna di queste regioni, le motivazioni che avevano spinto alla diversa regolamentazione – la spinta indipendentista violenta, le rivendicazioni austriache, la tutela speciale delle minoranze – non esistono più.