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  • Mercoledì 29 agosto 2012

La sentenza europea sulla legge 40

La Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha accolto il ricorso di una coppia italiana contro la legge sulla procreazione assistita: non viene rispettato il diritto di ciascuno alla propria vita privata e familiare

In this photo dated January 19, 2009 a pregnant woman walks down the street of the financial district in Singapore. A Singapore lawmaker has a simple explanation for the city-state's lack of babies: procreation, he says, is "not our forte." Loo Choon Yong also suggested that because more free time did not necessarily result in more babies, people should work on Saturdays, a report in The Straits Times said. "We should accept that as a people, our procreation talent is not our forte -- nothing to crow about," Loo told the legislature on February 4. AFP PHOTO/ROSLAN RAHMAN (Photo credit should read ROSLAN RAHMAN/AFP/Getty Images)
In this photo dated January 19, 2009 a pregnant woman walks down the street of the financial district in Singapore. A Singapore lawmaker has a simple explanation for the city-state's lack of babies: procreation, he says, is "not our forte." Loo Choon Yong also suggested that because more free time did not necessarily result in more babies, people should work on Saturdays, a report in The Straits Times said. "We should accept that as a people, our procreation talent is not our forte -- nothing to crow about," Loo told the legislature on February 4. AFP PHOTO/ROSLAN RAHMAN (Photo credit should read ROSLAN RAHMAN/AFP/Getty Images)

Ieri, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la Legge 40 del 19 febbraio 2004 che in Italia regola la procreazione assistita, viola la Convenzione europea sui diritti dell’uomo all’articolo 8, quello che prevede il diritto di ciascun cittadino al rispetto della propria vita privata e familiare.

La Corte europea ha accettato il ricorso di Rosetta Costa e Walter Pavan, genitori di una figlia di sei anni malata di fibrosi cistica, grave patologia di cui sono portatori sani: volendo un secondo figlio e volendo evitare che fosse malato, chiesero di procedere alla fecondazione assistita per poter impiantare un embrione sano e non uno malato. In Italia,  la legge li escludeva però dalla possibilità di utilizzare le tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma). La coppia aveva inoltre fatto ricorso all’interruzione di gravidanza nel 2010 quando, attraverso un’amniocentesi, si rese conto di aver trasmesso al feto quella stessa malattia.

La Legge 40 prevede che le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche gravi non possano accedere alla Pma e quindi non possano tentare attraverso un esame diagnostico sull’embrione di avere un figlio sano. La Corte europea ha bocciato, in particolare, gli articoli 4 e 13 della Legge 40 che aveva concluso il suo iter in Parlamento l’11 dicembre 2003 sotto il governo Berlusconi: il primo limita le tecniche di Pma alle sole coppie sterili o infertili o nel caso in cui l’uomo sia affetto da una malattia virale trasmissibile per via sessuale (Hiv, epatite B o C); il secondo vieta a ogni altra coppia il ricorso alla diagnosi preimpianto per evitare “una selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti”.

Per i giudici di Strasburgo il sistema normativo italiano è «incoerente», poiché esiste già un’altra legge (la 194) che consente l’aborto terapeutico se il feto è affetto da quella stessa malattia. La Corte ha così rifiutato la posizione  del governo italiano secondo il quale tra gli obiettivi principali della legge c’era quello di difendere la libertà di coscienza dei medici e evitare una selezione eugenetica.

Prima della sentenza europea, altre 16 volte e su ricorso di altre coppie un tribunale italiano si era pronunciato sulla Legge 40. Il 13 gennaio 2010 il Tribunale di Salerno aveva inoltre e per la prima volta autorizzato una coppia fertile ma formata da un uomo e da una donna portatori sani di atrofia muscolare ad accedere all’esame diagnostico prenatale. Si trattava però di sentenze che avevano affrontato casi specifici, mentre quella della Corte europea ha una portata generale e se diventerà definitiva sarà vincolante per l’Italia.

Ora lo Stato italiano dovrà versare a Rosetta Costa e Walter Pavan 15mila euro per i danni morali e 2.500 euro per le spese legali sostenute. La condanna non è però immediata perché non ancora definitiva: il governo italiano ha 3 mesi di tempo per chiedere il riesame da parte della Grande Chambre della Corte europea. Dopo la richiesta, 5 magistrati europei esamineranno il caso e decideranno se portarlo davanti ai giudici di appello. Fra tre mesi la sentenza di ieri passerà in giudicato e lo Stato italiano dovrà modificare la legge. Al ricorso della coppia italiana si erano opposti in giudizio i governo italiano, il Movimento per la Vita e 52 parlamentari del PdL e dell’Udc. Hanno invece appoggiato la causa di Rosetta Costa e Walter Pavan contro la Legge 40, alcune associazioni e 60 altri parlamentari.

In Europa il no alla diagnosi pre-impianto è ancora previsto solo in Italia, Austria e Svizzera. Sono invece quindici i paesi europei in cui la fertilizzazione in vitro e lo screening embrionale è consentito: Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia Slovenia, Spagna, Svezia, Regno Unito. Come ricorda oggi su La Stampa Vladimiro Zagrebelsky:

La legge italiana che disciplina l’utilizzo delle procedure mediche di fecondazione assistita e più particolarmente le limitazioni che essa impone, sono oggetto di critiche e polemiche fin dalla sua approvazione nel 2004. Critiche e polemiche che riguardano sia la legge in sé, sia le linee guida emanate dal ministero della Salute per specificarne, integrarne e aggiornarne le previsioni.

Il 12 e 13 giugno 2005 si svolse il referendum promosso dai Radicali e da altre associazioni con quattro quesiti abrogativi per garantire, tra l’altro, proprio la fecondazione assistita anche alle coppie affette da malattie genetiche e trasmissibili. Il referendum non raggiunse il quorum con un’affluenza alle urne del 25,9 per cento.

Nell’aprile 2008 la ministra Livia Turco emanò in un decreto le nuove linee guida alla Legge 40 eliminando il divieto di diagnosi preimpianto sull’embrione, ma il 16 novembre 2011 (e poche ore prima della scadenza del governo Berlusconi) la sottosegretaria alla salute Eugenia Roccella (che oggi chiede con forza al governo italiano di fare ricorso alla Grande Chambre della Corte europea) emanò a sua volta nuove linee guida tornando a imporre il divieto.