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  • Mercoledì 15 agosto 2012

Un atleta eritreo ha chiesto asilo alla Gran Bretagna

Weynay Ghebresilasie, portabandiera dell'Eritrea alle Olimpiadi di Londra, non vuole più tornare nel suo paese e ha spiegato perché al Guardian

Weynay Ghebresilasie, atleta eritreo 18enne che alle Olimpiadi di Londra 2012 ha gareggiato nei 3000 metri siepi, ha deciso di chiedere asilo politico alla Gran Bretagna. «Quando ho gareggiato in Spagna un mese fa sembrava che la situazione nel mio paese potesse migliorare», ha detto in un’intervista al Guardian, «invece le cose vanno sempre peggio». Ghebresilasie, che nel suo paese era un soldato arruolato nell’esercito di leva, non è l’unico atleta ad aver deciso di fuggire dal villaggio olimpico per tentare una nuova vita in Europa, ma è il primo che decide di parlare in pubblico dei motivi che l’hanno spinto a prendere questa decisione.

Altri tre atleti eritrei, tra cui la maratoneta Rehaset Mehari, hanno deciso di non tornare più in patria e hanno preferito non parlare ai media per timore di ripercussioni del governo sulle loro famiglie. Nel 2009 l’intera squadra nazionale di calcio eritrea fuggì durante una competizione in Kenya: tornarono indietro solo l’allenatore e un funzionario del governo. «Ci sono dei motivi per cui gli atri atleti che hanno chiesto l’asilo non vogliono parlare. Il regime è imprevidibile e la mia fuga potrebbe essere vista come un tradimento», ha raccontato Ghebresilasie. «Quando qualcuno è accusato di lasciare il paese illegalmente, non è insolito che venga fatta una multa alla sua famiglia o che uno dei suoi parenti venga arrestato».

Nonostante sia uno dei paesi più poveri al mondo e abbia una popolazione di circa 5 milioni di persone, l’Eritrea ha uno dei più grandi eserciti africani. Il presidente del paese Isaias Afewerki – che è al potere ormai da 19 anni e e non hai mai permesso che si svolgessero libere elezioni – ha giustificato l’esistenza di un grande esercito con la minaccia di un rinnovato conflitto con l’Etiopia, da cui l’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza nel 1992. Secondo un’indagine del 2009 del Commissariato per le Nazioni Unite dei rifugiati (UNHCR) i soldati dell’esercito eritreo sono sottoposti a torture e lavori forzati. Anche tre fratelli di Ghebresilasie fanno parte dell’esercito, mentre un quarto è morto nella guerra con l’Etiopia del 2000, durante la quale sono morti circa 19.000 soldati eritrei.

Parlando delle Olimpiadi, dove si è classificato al decimo posto nella sua specialità, Ghebresilasie ha definito l’esperienza «fantastica», «un sogno diventato realtà». «Speravo anche in una medaglia, ma non è stato possibile allenarmi a dovere a causa della situazione politica del mio paese. Non siamo trattati come atleti». Sul suo futuro, ha detto: «Non so cosa succederà, per ora afforonto la vita giorno dopo giorno e spero di poter continuare a seguire il mio primo amore, l’atletica leggera».

Foto: Gabriel Bouys/GettyImages