Pier Luigi Bersani, segretario del Partito Democratico, ha presentato oggi una “carta d’intenti”, intitolata “Italia bene comune”. Il documento, annunciato più volte nelle scorse settimane da Bersani, descrive l’orientamento “ideale” del Partito Democratico e sarà la base sulla quase il partito lavorerà per costruire programma e alleanze in vista delle elezioni politiche del 2013.
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L’Italia ce la farà se ce la faranno gli italiani. Se il paese che lavora, o che un lavoro lo cerca, che studia, che misura le spese, che dedica del tempo al bene comune, che osserva le regole e ha rispetto di sé, troverà un motivo di fiducia e di speranza.
L’Italia perderà se abbandonerà l’Europa e si rifugerà nel suo spirito corporativo, se prevarrà l’interesse del più ricco o del più arrogante. Se speranza e riscatto non saranno il capitale di un popolo ma scialuppe solo per i furbi e i meno innocenti.
Questa Carta d’Intenti vuole descrivere l’Italia che ce la può fare, che ce la può fare ricostruendo basi etiche e di efficienza economica; che ce la può fare con uno sforzo comune in cui chi ha di più dà di più.
Sappiamo che la politica ha le sue colpe. E che quanto più profonda si manifesta la crisi, tanto più le classi dirigenti devono testimoniare il meglio: nella competenza, nella condotta, nella coerenza. Questo sarà il nostro impegno e la bussola per il nostro compito. Con la stessa sincerità, diciamo che non siamo tutti uguali. Non sono uguali i partiti, le persone, le responsabilità. Gli italiani sono finiti dove mai sarebbero dovuti stare perché a lungo sono stati governati male. Noi vogliamo chiudere quella pagina e aprirne un’altra.
L’Italia, come altre grandi nazioni, è immersa nella fine drammatica di un ciclo della storia che ha occupato l’ultimo trentennio. La gravità del quadro elimina molte certezze. Ma sono proprio le grandi rotture a dettare le regole del futuro. Nel senso che da una crisi radicale – dell’economia e della democrazia – non si esce mai come si è entrati. Le crisi cambiano il paesaggio, le persone, il modo di pensare. La sfida è spingere quel mutamento verso un progresso e un civismo più solidi, retti, condivisi. Davanti a noi, adesso, c’è una scelta di questo tipo: se batterci per migliorare tutti assieme o rinunciare a battersi. Se credere nelle risorse del Paese o affidarsi – e sarebbe una sciagura – alle risorse di uno solo. Se unire le energie disponibili e ripensare assieme l’Europa, o attendere che altri scelgano e dicano per noi.
Questo è il momento di decidere cosa vogliamo diventare. Quale ruolo dare a una nazione con la nostra tradizione, situata nel cuore di un Mediterraneo che le rivolte giovanili stanno modificando come mai era accaduto. Quale democrazia rifondare, dopo una crisi che ha corretto i confini della sovranità dei singoli stati. Insomma questo è il momento di ricostruire l’Italia che lasceremo a chi verrà dopo.
Il prossimo Parlamento e il governo che gli elettori sceglieranno avranno tre compiti decisivi. Dovranno guidare l’economia fuori dalla crisi rimettendola salda sulle gambe. Dovranno ridare autorità, efficienza e prestigio alle istituzioni e alla politica, ripartendo dai principi della Costituzione. Dovranno rilanciare – in un gioco di squadra con le altre nazioni e i loro governi – l’unità e l’integrazione politica dell’Europa.
Vogliamo dunque proporre la traccia di una discussione aperta sull’Italia attorno ad alcune idee fondamentali. Cerchiamo un patto con le forze politiche democratiche, progressiste e di una sinistra di governo, con movimenti e associazioni, con amministratori, con ogni persona e personalità che voglia contribuire a un progetto per uscire da una crisi senza eguali nella nostra memoria. Una crisi che affrontiamo con la zavorra di un debito pubblico da ridurre drasticamente e che richiederà scelte responsabili, di rigore e allo stesso tempo di enorme coraggio. Bisogna vedere i problemi e insieme cogliere le occasioni. L’Italia è in grado di farlo ma deve avere più fiducia nei suoi mezzi e meno paura del viaggio che dobbiamo fare. Non è più tempo di “contratti”, promesse, sogni appesi a un filo. Adesso è tempo di ripartire. Perché il peggio può essere alle nostre spalle. Se lo vogliamo.
1. Visione
Noi non crediamo all’ottimismo delle favole, quello venduto nel decennio disastroso della destra. Crediamo, invece, in un risveglio della fiducia e soprattutto nel futuro degli italiani, a cominciare dai più giovani e dalle donne. I problemi sono enormi e il tempo per aggredirli si accorcia. Le scelte da compiere non sono semplici né scontate. Ma la speranza che ci muove vive tutta nella convinzione che si possano combinare rigore e cambiamento. Che si possa agganciare la crescita in un quadro di equità.
Il nostro posto è in Europa. Lì dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di riportarci dopo una decadenza che l’Italia non meritava. Noi collocheremo sempre più saldamente l’Italia nel cuore di un’Europa da ripensare e, in qualche misura, da rifondare. Lo faremo assieme a quelle forze progressiste che cercano in un tempo difficile di non tradire il sogno di un’Europa unita nell’impronta della sua civiltà.
In “casa” dovremo colmare la faglia che si è scavata tra cittadini e politica. Qui non bastano le parole. Serviranno i comportamenti, le azioni, le coerenze. Cercheremo di andare nella direzione giusta: di fare in modo che la buona politica e una riscossa civica procedano affiancate. Il traguardo è ricostruire quel patrimonio collettivo che la destra e i populismi stanno disgregando: la qualità della democrazia, la dignità di ciascuno, legalità, cittadinanza, partecipazione. La realtà è che mai come oggi nessuno si salva da solo. E nessuno può stare bene davvero, se gli altri continuano a stare male: è questo il principio a base del nostro progetto, sia nella sfera morale e civile che in quella economica e sociale.
Vogliamo che il destino dell’Italia sia figlio della migliore civiltà dell’Europa e che insieme riscopriamo la necessità di sentirci vicino a chi nel mondo si batte per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano. Lo scriviamo nella coscienza che la grandezza e la tragedia del ‘900 in Europa si misurano in una sola parola: la pace. La conquista faticosa di un continente che, con la tragica eccezione dei Balcani, ha conosciuto nella seconda metà del secolo la sua riconciliazione.
Oggi, in un mondo in subbuglio, pace, cooperazione, accoglienza, devono ispirare di nuovo il discorso pubblico. Nella coscienza dei singoli come nella diplomazia degli Stati.
Con questa visione noi, democratici e progressisti, ci candidiamo alla guida del Paese.