Un paese di atei deboli

Una nuova indagine mostra che gli italiani sono un popolo di credenti pigri e da tradizione, atei "di fatto"

Sulla Stampa Franco Garelli riassume e commenta il contenuto di una ricerca sul rapporto degli italiani con la religione, che rivela quello che è una percezione diffusa: al di là delle statistiche su chi si dichiara “credente”,’ in Italia “la religione è interpretata da molti più come un retaggio della tradizione che come una risorsa spirituale”.

Quanto sono veritieri i dati sulla religiosità in Italia? Che valore dare alle dichiarazioni di molti italiani che ancor oggi continuano a definirsi cattolici? Perché tante persone sembrano di fatto indifferenti nei confronti della religione anche se non hanno il coraggio di definirsi atei o agnostici?
Ecco alcuni interrogativi su cui ruota il dibattito pubblico sulle sorti della religione nella società avanzata, che appassiona sia gli studiosi dei fenomeni religiosi sia gli uomini di chiesa. Perché al di là delle apparenze, oltre la superficie, si coglie in ampie quote di popolazione una distanza tra le intenzioni e il vissuto religioso che pone non pochi problemi di interpretazione.
Proprio questo tema è al centro della recente e interessante indagine che Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli (che dirigono il Centro Studi sulle Nuove Religioni di Torino) hanno condotto in un’area del Sud, che si presenta come un caso studio emblematico di ciò che accade non solo in quella regione ma in tutto il Paese. In effetti, i dati sulla religiosità di quell’ambiente (la Diocesi di Piazza Armerina, una delle 18 diocesi della Sicilia, che si estende tra le province di Enna e Caltanissetta) riflettono la geografia religiosa di molte province italiane.

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