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  • Martedì 13 marzo 2012

Gli autori del documentario contro Joseph Kony rispondono alle critiche

Invisible Children replica in un video a chi li accusa di scarsa trasparenza finanziaria e manicheismo

Invisible Children, l’associazione statunitense che ha prodotto il documentario contro Joseph Kony, ha diffuso ieri un video in cui il suo CEO, Ben Keesey, risponde alle critiche ricevute.

Il video contro Kony è stato visto finora più di 100 milioni di volte ed è stato considerato da più parti il video più virale di tutti i tempi. È incentrato su Joseph Kony e ha come scopo sensibilizzare sui crimini da lui commessi, perché venga catturato. Kony è ricercato per crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale ed è un ribelle ugandese che da oltre vent’anni è capo del Lord’s Resistance Army (LRA, “Esercito di Resistenza del Signore”). Il LRA, che ha base nel nord dell’Uganda ma che è attivo in una vasta area a cavallo dei confini con i paesi vicini (Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana) si è reso responsabile negli anni di violenze gravissime contro la popolazione civile ed è noto per l’utilizzo di bambini soldato. Kony dice di essere in contatto con Dio e ha le sue radici religiose nel cattolicesimo e nei movimenti millenaristi cristiani, a cui mescola credenze religiose locali. Dichiara di voler stabilire in Uganda un governo basato sui dieci comandamenti.

In questi giorni Invisible Children ha ricevuto soprattutto tre tipi di critiche: non essere adeguatamente trasparente sui propri bilanci e le proprie finanze; spendere, per quello che si sa, troppi soldi in spese manageriali e organizzative rispetto a quelli investiti sul campo; avere una visione semplicistica e manichea del conflitto in Uganda, dove la linea che separa “buoni” e “cattivi” non è semplice da tracciare. Keesey, che ha 28 anni, ha risposto così.

Alla prima critica Keesey risponde dicendo che i dati sono tutti online sul sito Internet e che l’associazione non nasce col video, avendo alle spalle un lavoro di molti anni: ma capisce che molti l’abbiano scoperta solo grazie al documentario su Kony e siano rimasti perplessi cercando altre informazioni dato che, a causa del grosso traffico, il loro sito Internet negli ultimi giorni è stato a tratti complicato da raggiungere. Alla seconda critica Keesey risponde ribadendo le proporzioni tra i vari settori di spesa, facendo notare come le spese sul campo equivalgono sempre almeno all’80 per cento dei soldi dell’associazione, spiegando che alcune donazioni ricevute sono vincolate per essere spese nella gestione organizzativa e che questa è una cosa buona, se si vogliono fare le cose da professionisti.

(Chi ha fatto il documentario contro Kony)

Alla terza critica Keesey risponde dicendo di essere perfettamente a conoscenza di tutti gli aspetti problematici della questione ugandese, avendola studiata sul campo in anni di lavoro, ma si dice convinto che se c’è una cosa su cui tutti sono d’accordo è la necessità di fermare prima possibile Joseph Kony. È un concetto simile a quello sostenuto da Nicholas Kristof, editorialista del New York Times esperto di cose africane, sul suo blog e su Twitter.