Gli arresti per la morte di Borsellino

La Direzione investigativa antimafia ha eseguito l'arresto di quattro persone, tre già in carcere, avanzando nuove ipotesi su responsabili e moventi della strage

Le lunghe, tortuose e complicate indagini sull’attentato esplosivo che il 19 luglio 1992 uccise il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta è arrivato oggi a una piccola svolta, vedremo poi quanto importante. La procura di Caltanissetta, che indaga sulla strage dal 2007 approfondendo anche il filone del presunto coinvolgimento di apparati deviati dei servizi segreti e della presunta trattativa tra Stato e mafia, ha chiesto quattro ordinanze d’arresto – disposte dal gip ed eseguite dalla Direzione Investigativa Antimafia – ai danni di quattro persone: Salvatore Madonia in qualità di presunto mandante, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale in quanto presunti esecutori e Calogero Pulci, già collaboratore di giustizia, per presunta falsa testimonianza. Madonia e Tutino sono già in carcere per altri reati, così come Vitale che è agli arresti domiciliari. Pulci era l’unico in libertà ed è accusato di calunnia aggravata. Tra le altre cose, la procura di Caltanissetta ha messo per iscritto l’inaffidabilità di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo e mafioso Vito, personaggio controverso che racconta storie di mafia da anni, spesso eclatanti, spesso con prove traballanti e contraddicendosi. La procura dà “un giudizio finale sostanzialmente negativo sull’attendibilità intrinseca” di Ciancimino, che “sembra essere più favorevole agli interessi di Cosa nostra che a quelli dello Stato”. Ricostruisce tutto Salvo Palazzolo su Repubblica.

Dopo aver svelato il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino, la Procura di Caltanissetta prova a rimettere in ordine i tasselli della complicata indagine attorno alla morte del giudice Paolo Borsellino. Determinante si è rivelata la collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo: nei mesi scorsi, le sue dichiarazioni hanno portato alla scarcerazione di sei innocenti; adesso, fanno scattare quattro ordinanze di custodia cautelare, che sono state firmate dal gip Alessandra Giunta. Questa mattina, i provvedimenti sono stati notificati in carcere dalla Dia al capomafia pluriergastolano Salvino Madonia (è accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista) e ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via d’Amelio, e avrebbe fatto da talpa agli stragisti). Un quarto provvedimento riguarda il pentito Calogero Pulci, era l’unico in libertà: è accusato di calunnia aggravata, perché con le sue dichiarazioni avrebbe finito per fare da riscontro al falso pentito Vincenzo Scarantino. La Procura aveva chiesto l’arresto di una quinta persona, il meccanico Maurizio Costa, a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il gip ha rigettato la misura. Costa resta indagato a piede libero per favoreggiamentro aggravato.

Ecco, dunque, un primo importante passo avanti per fare luce sui misteri che vent’anni dopo ancora si addensano attorno a via d’Amelio. La nuova inchiesta porta la firma del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, degli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dei sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani. Con i magistrati lavora ormai da anni una squadra della Dia di Caltanissetta, coordinata dal vice questore aggiunto Ferdinando Buceti.

L’ultimo atto d’accusa della Procura nissena si compone di 1670 pagine, riportate e analizzate nel provvedimento del gip: i magistrati ricostruiscono non solo la fase esecutiva della strage, ma affrontano anche i delicati capitoli del movente e dell’eventuale coinvolgimento di uomini delle istituzioni. Ecco alcuni passaggi cruciali del documento, con le ricostruzioni e le testimonianze che finiscono per chiamare in causa pezzi dello Stato.

Chi azionò il telecomando
I pm escludono che i mafiosi fossero appostati al Castello Utveggio di Montepellegrino, che sovrasta via d’Amelio. Secondo il racconto del pentito Fabio Tranchina, “è quasi certamente Giuseppe Graviano che azionò il telecomando”, scrivono i magistrati. “Era dietro il muro che delimitava la fine della via D’Amelio ed un retrostante giardino”. Graviano è stato già condannato per la strage del 19 luglio.

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foto: LaPresse