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  • Mercoledì 11 gennaio 2012

Dieci anni di Guantánamo

L'undici gennaio 2002 i primi venti detenuti arrivarono nel carcere di massima sicurezza che è diventato il simbolo dell'emergenza contro il terrorismo

** FILE ** In this handout photo from the Department of Defense U.S. Army Military Police escort a detainee to his cell in Camp X-Ray at Naval Base Guantanamo Bay, Cuba, on Jan. 11, 2002. Guantanamo military prison opened five years ago this week Tuesday Jan 10, 2007. The U.S. military says many of the "enemy combatants" imprisoned in the seaside compound ringed by razor wire provide interrogators with information about terror networks. The US government has blocked their access to U.S. courts, claiming it has authority to detain them indefinitely to keep America safe, though many aid groups have condemned the prison as an abomination and have called on Washington to close the facility. (AP Photo/Shane T. McCoy, U.S. Navy)
** FILE ** In this handout photo from the Department of Defense U.S. Army Military Police escort a detainee to his cell in Camp X-Ray at Naval Base Guantanamo Bay, Cuba, on Jan. 11, 2002. Guantanamo military prison opened five years ago this week Tuesday Jan 10, 2007. The U.S. military says many of the "enemy combatants" imprisoned in the seaside compound ringed by razor wire provide interrogators with information about terror networks. The US government has blocked their access to U.S. courts, claiming it has authority to detain them indefinitely to keep America safe, though many aid groups have condemned the prison as an abomination and have called on Washington to close the facility. (AP Photo/Shane T. McCoy, U.S. Navy)

L’11 gennaio 2002, esattamente dieci anni fa, i primi venti detenuti accusati di terrorismo arrivarono alla prigione militare di Guantánamo, a Cuba, il da allora famigerato carcere di massima sicurezza allestito dagli Stati Uniti all’indomani della strage dell’11 settembre 2001. Fin dalla sua istituzione la prigione è diventata uno dei simboli della politica estera dell’amministrazione Bush e di una gestione emergenziale e poco rispettosa dei diritti dei prigionieri.

Il carcere si trova fuori dal territorio degli Stati Uniti, cosa che non ha favorito la trasparenza su come vengono trattati i detenuti: per anni le associazioni umanitarie, tra cui le Nazioni Unite e Amnesty International, hanno denunciato il mancato accesso alla struttura ed episodi di abusi e torture nei confronti dei detenuti. Tre detenuti britannici musulmani scarcerati da Guantánamo nel 2004 raccontarono di essere stati ripetutamente picchiati, torturati con filo spinato e sigarette accese, obbligati ad assumere droghe e molestati sessualmente. La settimana scorsa un cittadino algerino ha raccontato sul New York Times i suoi sette anni di vessazioni e sofferenze a Guantanamo prima di essere rilasciato. Hanno fatto discutere anche i numerosi suicidi e i tentativi di suicidio, che secondo le guardie carcerarie americane sono stati centinaia, di cui 41 soltanto nel 2002. Inoltre Guantanamo ha ospitato 21 bambini e un uomo di 98 anni. Molte di queste denunce sono state contestate e negli ultimi anni ci sono stati anche testimoni e indagini ufficiali che hanno parlato di un carcere ordinato e molto più accettabile delle prigioni che si trovano nel territorio statunitense. Da quando sono cominciati i rimpatri dei detenuti, molti hanno chiesto di poter rimanere a Guantánamo piuttosto che tornare nei loro paesi d’origine.

(La tortura dei prigionieri è servita a qualcosa?)

L’altro aspetto spinoso legato a Guantánamo è lo status legale dei detenuti, che è sempre stato poco chiaro. L’amministrazione Bush aveva stabilito che non erano prigionieri di guerra, secondo la definizione della Terza Convenzione di Ginevra. A partire dal 2004, una serie di pronunciamenti di tribunali federali e della Corte Suprema cercarono di chiarire meglio la loro situazione, mentre il governo prese a definire i detenuti come “nemici combattenti” e creò un nuovo strumento giudiziario per giudicarli, i Combatant Status Review Tribunals (CSRT). Questi, in decine di udienze quasi sempre a porte chiuse, dovevano verificare che a ciascun detenuto si potesse attribuire la qualifica di “nemico combattente”, senza che si applicassero i normali procedimenti di esame delle prove e delle testimonianze in uso nei tribunali civili. Le udienze si conclusero nel 2005 e stabilirono che 38 detenuti non erano “combattenti”, mentre mantennero quella definizione per più di altri cinquecento. Poco dopo, un giudice federale dichiarò i CSRT incostituzionali. La serie di pronunciamenti legali di diversi tribunali americani andò avanti, ordinando a volte il rilascio di alcuni detenuti che avevano presentato ricorso. Molti di loro sono stati incarcerati per anni senza processo, impossibili da condannare in un tribunale ordinario, anche per ragioni di sicurezza, e allo stesso tempo impossibili da rilasciare a meno di non mettere consapevolmente in libertà dei possibili terroristi.

Barack Obama fece della chiusura di Guantanamo uno dei punti centrali della sua campagna elettorale. Il 22 gennaio 2009, due giorni dopo il giuramento come presidente degli Stati Uniti, firmò un ordine esecutivo che imponeva la chiusura entro un anno della struttura. Una commissione avrebbe riconsiderato la situazione di ciascuna delle 241 persone allora detenute e avrebbe deciso quali avrebbero affrontato un processo e quali invece sarebbero state trasferite in strutture statunitensi. Ad aprile 2009 la commissione concluse che solo per venti o trenta persone si sarebbe potuto istruire un processo. Per tutte le altre, i servizi segreti possedevano del materiale, ma niente o quasi che potesse essere usato davanti a una corte. Il 20 maggio del 2009 il Senato bocciò con 90 voti contro 6 la proposta di stanziare 80 milioni di dollari per chiudere Guantanamo. La votazione fu un colpo molto duro per il governo, e il fatto che anche quasi tutti i senatori democratici avessero votato contro la chiusura dimostrava che la retorica repubblicana stava colpendo nel segno: i repubblicani insistevano e non volevano sul suolo americano «alcuni degli uomini più pericolosi del mondo».

Un caso emblematico della difficile gestione dei detenuti di Guantanamo è il processo a Khalid Sheik Mohammed, che aveva collaborato a diversi attacchi terroristici contro gli Stati Uniti negli ultimi vent’anni, compreso quello dell’11 settembre. Nell’autunno 2009 il Senato rifiutò la proposta dei repubblicani di bloccare il processo e il procuratore generale degli Stati Uniti stabilì che si sarebbe svolto in un tribunale federale a meno di due chilometri da Ground Zero. La notizia ricevette una grande attenzione in tutto il mondo. Il sindaco di New York Michael Bloomberg sostenne da subito la decisione, ma il dipartimento di polizia della città presentò un piano per mettere in sicurezza l’area che sarebbe costato ben 200 milioni di dollari l’anno. All’interno del Dipartimento di Giustizia federale si insinuò il sospetto che le cifre fossero volutamente gonfiate, ma a causa della costante opposizione dei repubblicani e al crescente timore per la sicurezza nell’opinione pubblica il procuratore decise di rimettere il caso al Dipartimento della Difesa, allontanando la possibilità di altri processi federali. Mohammed sarà processato a Guantanamo in una struttura costruita appositamente, a pochi chilometri dai campi di detenzione.

Nel frattempo la chiusura di Guantanamo è diventata sempre più improbabile o perlomeno difficile da realizzare. A marzo 2011 il presidente Obama ha firmato un altro ordine esecutivo che permetteva la detenzione a tempo indeterminato dei prigionieri. Nella dichiarazione successiva alla firma, Obama non ha parlato esplicitamente della chiusura di Guantanamo ma ha assicurato che i tribunali federali continueranno a essere coinvolti. Il procuratore generale ha detto però che, date le misure restrittive approvate dal Congresso, nuovi processi federali sono quasi impossibili.

(Perché Obama non ha chiuso Guantanamo)

Dall’inizio della guerra in Iraq e Afghanistan 779 persone sono state portate a Guantánamo e soltanto sei sono state condannate. I detenuti che al momento si trovano nella struttura sono 171: 59 verranno trasferiti, 30 yemeniti verranno rimpatriati e i restanti verranno processati o detenuti a tempo indefinito. Undici si trovano nella struttura da dieci anni e non sono mai stati processati. In questi giorni Amnesty International e altre associazioni umanitarie hanno organizzato eventi in tutta Europa e negli Stati Uniti per chiedere la chiusura della prigione.

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