La marcia dei copti in Piazza Tahrir
Per protestare contro un rapporto ufficiale che assolve l'esercito egiziano per il massacro di un mese fa
I cristiani copti, la minoranza che costituisce il 10 per cento della popolazione egiziana, si sono riuniti venerdì sera in Piazza Tahrir per ricordare le 27 persone uccise nel massacro del 9 ottobre e protestare contro il rapporto ufficiale presentato su quella notte.
Il rapporto di quattordici pagine è stato reso pubblico mercoledì scorso con il titolo “Massacro Maspero” dal Consiglio nazionale egiziano per i diritti umani (NCHR), l’organismo ufficiale che sovrintende al rispetto dei diritti umani nel Paese: pur accertando che 12 persone sono state schiacciate dai carri armati nella piazza davanti alla Tv di Stato, il testo giustifica i soldati dicendo che la loro intenzione era quella di disperdere la folla. La colpa sarebbe dunque dell’eccessiva velocità dei veicoli.
Quello che i manifestanti mettono in discussione è il fatto che la commissione dell’NCHR incaricata di verificare e stabilire la verità sugli incidenti de Il Cairo sia stata istituita dal Consiglio supremo delle forze armate, il maggiore indiziato della vicenda. «Il rapporto della commissione così com’è assolve l’esercito da ogni responsabilità, anche da quella di aver sparato sulla folla», ha detto Naguib Gabriel, capo dell’Unione egiziana delle organizzazioni per i diritti umani (EUHRO). E ha aggiunto: «Il NCHR ha fornito in anticipo una tesi di innocenza per l’esercito, senza avere le prove per dimostrarla».
Secondo il rapporto del NCHR a sparare sui cristiani sarebbero stati dei non meglio identificati civili. Un membro dell’NCHR, durante una conferenza stampa, ha spiegato: «Non abbiamo potuto appurare l’identità degli aggressori, ma li abbiamo descritti nel rapporto come civili perché erano vestiti come normali cittadini». Questa, secondo le Ong egiziane, è una delle tante ambiguità nel rapporto e la dimostrazione della mancanza di prove con le quali è stato comunque scritto. «Non si può affermare che fossero civili senza investigare davvero su quanto avvenuto: chi dice che non fossero militari in abiti civili?», ha fatto sapere un loro portavoce.
Nel rapporto sarebbero presenti altre contraddizioni: la manifestazione dei copti viene definita «pacifica», ma a pagina 3 e 14 si citano pietre e coltelli che molti manifestanti avrebbero portato con sé. Un vescovo copto ortodosso ha affermato: «Mi importa solo quello che il rapporto chiarisce, cioè che i dimostranti non avevano armi. Credo che avrebbero dovuto meritare la protezione dell’esercito, invece l’esercito li ha attaccati».
Il testo del Consiglio nazionale egiziano per i diritti umani parla anche della tv di Stato accusata di aver incitato la caccia ai copti: si è trattato di «errori professionali» e non di crimini di incitamento contro i cristiani, si legge. Il Maspero Coptic Youth Union (MCYU), gurppo che si è costituito dopo il massacro del 9 novembre, ha chiesto di poter condurre un’inchiesta indipendente. Il quotidiano El Wafd riporta anche la notizia che il giudice Amir Ramzi, membro della Commissione nazionale di giustizia, ha promeso di presentare la settimana prossima un nuovo rapporto suffragato da testimonianze video e audio.
Le tensioni tra musulmani e cristiani durano da molto tempo: i cristiani protestano contro le continue persecuzioni e accusano anche il capo del Consiglio supremo della Difesa, che ha assunto temporaneamente la guida del paese dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, di non impegnarsi a far rispettare alla maggioranza musulmana i diritti dei copti e di aver anzi annunciato l’intenzione di revocare le restrizioni già in vigore per la costruzione di nuove chiese. Questa legge risale all’impero ottomano quando i cristiani dovevano ottenere un’autorizzazione per la costruzione, la riparazione o il restauro di una chiesa.
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