Commissariare l’Italia?

Sono in molti a pensare che solo un governo tecnico abbia la libertà di fare quello che si deve fare

di Luca Sofri

Ho parlato con un importante dirigente del centrosinistra che me l’ha messa così, semplifico un po’: per raddrizzare le condizioni economiche – e non solo – dell’Italia in questo momento ci vogliono scelte molto drastiche, risolute e coraggiose, con sicure conseguenze di impopolarità e dissenso di cospicui gruppi di elettori. Nessuno, e dico nessuno – nemmeno il partito del mio interlocutore, dice lui – è in grado di fare quelle scelte oggi, nessuno è capace di andare incontro alle conseguenze: “nemmeno noi”. L’unica strada è quindi un governo tecnico, non in ragione delle sue maggiori competenze sui temi più delicati – che pure ci vogliono – ma della sua indipendenza ed estraneità alle cautele della politica. Solo il Mario Monti del caso o chi per lui possono fare le cose che vanno fatte, di certo nessuno che abbia paura per la propria rielezione o per i destini del proprio partito.

Il ragionamento è semplice, circola da molto, ma è anche molto interessante per le sue implicazioni. Intanto l’analisi suona drammaticamente vera: c’è una dimensione dei problemi che potrebbe essere difficilmente affrontabile se non con sacrifici pesantissimi e la creazione di ulteriori problemi. “There is no easy way out”, come dicono gli americani. E questo è un paese abituato a che le cose siano easy, almeno quelle immediate e giorno per giorno. Appare quindi difficilmente credibile che le opposizioni attuali – per come le conosciamo – una volta guadagnata una eventuale maggioranza elettorale siano in grado di trovare la forza di un progetto forte, unitario, sicuro del fatto suo, e guidare una traversata nel deserto. La situazione spaventerebbe maggioranze anche più toste e coraggiose di quella in ipotesi. E persino chi ha cara, come noi, la ricostruzione della politica italiana attraverso persone e pensieri diversi e con meno fallimenti alle spalle di quelli che guidano oggi il centrosinistra, ha anche dubbi sul fatto che questi tempi siano quelli giusti per transizioni così rilevanti, che rischierebbero di vedere travolte le loro visioni e i loro progetti a lungo respiro dai guai contingenti.

L’altro elemento notevole della riflessione è quello per cui l’ipotesi costituisce di fatto un commissariamento del governo e della democrazia, né più né meno di quelli che l’ordinamento prevede per le amministrazioni locali che si trovino nell’impossibilità di governare, per le ragioni più varie. Fatte le dovutissime distinzioni, la dipendenza esagerata dal consenso immediato del nostro Parlamento è un tarlo straordinario del sistema democratico come lo sono le infiltrazioni mafiose in certi comuni: e si è pensato uno strumento per annullarlo.

Commissariare un governo nazionale però non è una cosa che si può accettare a cuor leggero: come avevamo già scritto, è un fallimento sancito della democrazia. Che la democrazia non sia un sistema perfetto lo sappiamo da tempo attraverso molti esempi, ma che non si dimostri tale in Italia nel 2011 non è una cosa da poco. Si tratta del riconoscimento che si è costituita una depravazione del sistema democratico, accompagnata a un momento di grande crisi, e che gli eletti si arrendono e si dichiarano impotenti.

È anche vero, dirà giustamente qualcuno, che è lo stesso sistema democratico a sapersi aiutare in questo caso: non stiamo infatti parlando di sospensione delle elezioni o colpi di stato. Perché l’ipotesi governo tecnico con poteri adeguati sia messa in piedi ci vuole il consenso e il voto della maggioranza del Parlamento eletto, così come per avallare le sue scelte. E questa è peraltro la ragione per cui oggi anche questa ipotesi di ammissione di una sconfitta ma forse di buon senso non sembra molto a portata di mano. Che si stia sfarinando il centrodestra è evidente, pur con grande lentezza: che questo avvii verso nuove prese di coscienza da parte dei partiti pare assai meno chiaro.

Quello che è certo è che fare i conti con le proprie inadeguatezze da parte della classe dirigente è da una parte una cosa apprezzabile, per chi riesce a farlo: ma dovrebbe portare a ben altri percorsi che non solo la temporanea consegna della patata bollente a un ente esterno. Della patata eventualmente raffreddata, poi, sarà meglio che si occupino tutt’altre persone da queste.