Le 12 canzoni più belle di Sting

Quelle dopo i Police, nel giorno del suo sessantesimo compleanno

December 1979: Sting, lead singer of pop group The Police and drummer Stewart Copeland, during a performance. (Photo by Central Press/Getty Images)

December 1979: Sting, lead singer of pop group The Police and drummer Stewart Copeland, during a performance. (Photo by Central Press/Getty Images)

Oggi Sting compie sessant’anni, e malgrado questa seconda fase della sua vita sia da tempo letta dai vecchi fan come una sorta di pensione rispetto alle grandezze dei Police, con tanto di aneddoti su sesso e tantra, e fragili sperimentazioni sinfoniche, alla fine gli si deve molto e ci si può dichiarare riconciliati anche con il suo declino leggero. Ha infilato comunque una ammirevole serie di belle canzoni. Queste sono quelle scelte da Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, nel libro del 2008 Playlist.

Spread a little happiness (Brimstone and Treacle,1982)
Era la canzone di un vecchio musical e Sting la ricantò per un film televisivo che si chiamava Brimstone and Treacle, quando stava ancora con i Police. Gli venne spiritosa e perfetta. “Even when the darkest clouds are in the sky, you mustn’t sigh, and you mustn’t cry…”

Fortress around your heart (The dream of the blue turtles,1985)
«Uno dei migliori ritornelli che abbia mai scritto» dice Sting, che ha evidentemente un debole per mettere cose attorno a questa o quella parte anatomica (come in “Wrapped around your finger” dei Police). Parla dell’essere responsabili della distanza che gli amati mettono tra loro e noi.

Children’s crusade (The dream of the blue turtles,1985)
L’andatura dondolante della strofa è già notevole, ma il ritornello che va su e giù è ancora meglio: vien voglia di dirigere qualcuno, un’orchestra, un quartetto, Otto e Barnelli. Il sassofono è Brandford Marsalis.

Another day (Bring on the night,1986)
Era il lato B di “If you love somebody”, ma piaceva abbastanza a Sting da cantarla nei concerti e al suo pubblico da fargli il coro, come testimonia la versione nel doppio live Bring on the night (il titolo cita ancora una canzone dei Police). L’entrata del refrain – “well it’s hard to tell the poison from the cure” – è la cosa più eccitante di tutta la carriera solista di Sting, che era appena cominciata.

All this time (The soul cages,1991)
Era morto suo padre da poco, e la canzone racconta del desiderio di seppellire un padre in mare, desiderio ostacolato dalle convenzioni e dalle religioni che hanno costruito formule diverse riguardo la morte: arrivano due preti, e vogliono fare a modo loro. “Riuniti in congregazioni, gli uomini impazziscono. E migliorano solo se lasciati soli.” Nel video c’era Melanie Griffith.

Why should I cry for you? (The soul cages,1991)
Il repertorio di mari, deserti, stelle, nell’opera di Sting è assai frequente, fin dagli ultimi Police. Qui, in mezzo a una celebrazione nautico-geografica, appare pian piano un oscuro problema di cuore, e si viene a sapere che lei gli avrebbe detto “I love you in my fashion”. Ovvero la stessa cosa che dirà anni dopo a Jovanotti (“E lei ti ama? A suo modo”), ma Sting la prese meno bene.

When the angels fall (The soul cages,1991)
A parte i soliti gabbiani e stelle eccetera, c’è questo verso bellissimo: “And perhaps the dream, is dreamin’ us”. Forse è il sogno, che sogna noi (in alternativa più deludente: “forse il sogno è sognare di noi”). Bella canzone da epilogo.

Come down in time (Two rooms: a tribute to Elton John andBernie Taupin,1991)
Una vecchia canzone di Elton John, che Sting canta alla grande, con la voce affannata dei giorni migliori e il pianoforte giusto. Stava in una raccolta “tributo” a Bernie Taupin, decennale paroliere di Elton.

Seven days (Ten summoner’s tale,1993)
Alla fine è una filastrocca sui giorni della settimana, che danno sempre soddisfazione: come in “Friday I’m in love” dei Cure. In chiusura Sting canticchia i versi di “Every little thing she does is magic”.

Epilogue (Nothing ‘bout me) (Ten summoner’s tale,1993)
Niente che mi riguardi, dice. Dopo tutte le cose che lo riguardavano nel disco precedente, se lo può permettere. Liberi tutti, e buttiamoci su cose (e musica) più allegre: “Di questi tempi, un uomo solo come me ha bisogno di amore”. E grande esibizione bandistica della band.

Let your soul be your pilot (Mercury falling,1996)
L’anima, se ci pensate, è un fenomeno letterario straordinario. Una cosa che nessuno ha mai visto, che non conosce raffigurazioni canonizzate e che non è affatto immediatamente percepibile, eppure così centrale nella costruzione delle fedi religiose, e nella tematica musicale. Se si fa la gara a chi ha usato più l’anima, se il Cristianesimo o il rock, probabilmente vince il secondo: dite “soul” a Memphis, e vedete cosa pensano. Detto questo, “lasciate che l’anima vi guidi” (un po’ come la forza di Guerre Stellari) è un precetto pavido: alla pari del misterioso e laico “istinto” (peggio ancora: il “sesto senso”), l’anima fa un sacco di casini. Solo che le saranno sempre perdonati – a differenza di quelli fatti col cervello – perché non conoscendo ragioni, le scelte dell’anima non hanno mai torto e non hanno alternative. Quindi, “lasciate che l’anima vi guidi” se non volete rischiare di affrontare il fallimento: altrimenti usate il cervello, a costo di scoprire che lo avete usato male.

Brand new day (Brand new day,1999)
Dentro Brand new day suonarono Stevie Wonder (l’armonica, inconfondibile), Branford Marsalis, James Taylor e Chris Botti, che allora suonava solo la tromba e doveva ancora diventare cantante pop-jazz di successo. Il singolo è una cosa allegra sul ripartire da zero: “Baby, wait a minute, wait a minute…”