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  • Mercoledì 21 settembre 2011

La Grecia ai tempi della crisi

Non sono solo numeri: il Wall Street Journal descrive l'aumento dei tentativi di suicidio

Da mesi l’attenzione degli economisti è concentrata sulla Grecia, duramente colpita dalla crisi economica e alle prese con il rischio molto concreto di non essere più in grado di ripagare i propri debiti e di fallire. Il Parlamento greco ha dovuto approvare misure di austerità molto pesanti tese a ridurre drasticamente la spesa pubblica e a privatizzare diversi settori fino a ora in mano allo Stato. Le immagini degli scioperi e delle proteste, anche violente, per le scelte del governo hanno mostrato il disagio della popolazione, ma gli effetti sui singoli e su che cosa significhi fare i conti con il proprio paese che rischia il fallimento sono rimasti meno evidenti.

In un lungo articolo pubblicato sul Wall Street Journal, Marcus Walker spiega che a causa delle enormi difficoltà economiche, nell’ultimo periodo in Grecia il numero di suicidi è raddoppiato. In media si tolgono la vita sei persone su centomila ogni anno e nei primi cinque mesi del 2011 il 40 per cento di persone in più si è suicidato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’aumento è dovuto a diversi fattori come le condizioni di vita più difficili, il crescente tasso di criminalità e il fallimento delle attività dei singoli privati.

Il numero dei suicidi si accompagna alla crescente quantità di tentativi di togliersi la vita. Venerdì scorso un uomo sulla cinquantina sommerso dai debiti ha provato a darsi fuoco all’esterno della sua banca, a Salonicco. È stato soccorso per tempo e si trova ora in ospedale, con ustioni gravi. Un altro uomo, Vaggelis Petrakis, ha provato a togliersi la vita lo scorso anno bevendo una miscela di birra e benzina. Ha lasciato un biglietto di addio, ma dopo aver bevuto ci ha ripensato e ha contattato il figlio, che lo ha portato in ospedale dove è stato salvato. Petrakis si è poi ucciso quest’anno con un colpo di fucile.

I suicidi sono aumentati in buona parte dell’Europa da quando è iniziata la crisi economica, come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista scientifica britannica The Lancet. La Grecia è tra i paesi più colpiti e le statistiche non sono nemmeno precise, perché la maggior parte dei suoi cittadini sono ortodossi e la loro Chiesa vieta i funerali per chi si è tolto la vita. Molte famiglie decidono quindi di mascherare i suicidi spacciandoli per incidenti, che non rientrano quindi nei conteggi statistici.

Le associazioni che danno sostegno alle persone psicologicamente in difficoltà dicono di ricevere molte più chiamate di un tempo da chi vuole tentare il suicidio. La media era in genere di dieci telefonate al giorno presso il centro di assistenza dell’organizzazione Klimake, ora si arriva a un centinaio di chiamate. Chi telefona preso dalla disperazione ha solitamente tra i 35 e i 60 anni e racconta di essere sommerso dai debiti, di non riuscire ad andare avanti e di aver fallito nel mantenere la propria famiglia.

Nella zona di Candia, sull’isola di Creta, ci sono stati in breve tempo tre suicidi, compresa la morte di Vaggelis Petrakis. Era un commerciante attivo nella compravendita di frutta e verdura e fino al 2009 era riuscito a fare buoni affari. Aveva attivato un prestito nel 2000 con la banca e messo in piedi un’impresa tutta sua per vendere i prodotti ad alberghi e catene di supermercati. Gli affari erano ulteriormente migliorati con l’ingresso della Grecia nella moneta unica, tanto da spingere Petrakis a comprare una casetta tra le montagne in cui trascorrere le vacanze.

I clienti, intanto, avevano iniziato a pagare in ritardo o con assegni postdatati. Il commerciante non aveva alternative, la pratica esisteva già negli anni Novanta in buona parte del paese ed era diventata la norma. Petrakis e gli altri commercianti agivano sostanzialmente come banche, ma senza gli interessi. Così facendo molte piccole imprese avevano problemi di liquidità perché dovevano pagare nei tempi giusti i loro fornitori, mentre per ricevere il denaro dai clienti dovevano aspettare spesso diversi mesi.

Petrakis si mise a fare come molti altri commercianti: per ottenere il denaro più rapidamente vendeva gli assegni postdatati alle banche a cifre più basse di quelle scritte dai clienti. Se aveva un assegno da mille euro che non poteva essere incassato prima di cinque mesi, la banca gli dava 800 euro subito e altri cento al momento in cui l’assegno veniva incassato. Gli altri cento euro rimanevano alla banca.

Il sistema consentiva di avere subito del denaro, ma a lungo andare si mangiava una parte consistente degli incassi. Quando la crisi si fece più dura a partire dal 2009, molti di quegli assegni iniziarono a essere scoperti e rifiutati dalle banche. Petrakis lavorava in un realtà piccola, conosceva di persona i propri clienti e con molti di loro era diventato amico. Immaginava di poter sistemare le cose, ma scoprì che molte delle persone con cui aveva stretto amicizia non volevano o non erano in grado di aiutarlo. Alcuni iniziarono a pagare con enormi ritardi, altri ancora smisero di pagare del tutto la merce.

In breve tempo Petrakis si trovò sommerso dai debiti e con la necessità di chiedere nuovi prestiti alla banca per tirare avanti e mantenere aperta la sua attività. Arrivò ad avere un debito in banca per 600mila euro e a non riuscire a pagare le rate, tanto da ricevere minacce di pignoramento da parte degli istituti di credito. Preso dalla disperazione, nel 2010 portò in banca un assegno scoperto e postdatato ottenuto da una società con cui non aveva mai fatto affari. L’idea era quella di ottenere subito una parte dei soldi per tappare i buchi e di trovare poi nuovo denaro per pagare la banca quando l’assegno mesi dopo sarebbe stato rifiutato.

I responsabili dell’istituto di credito scoprirono la tentata truffa immediatamente e Petrakis fu arrestato. La polizia perquisì la sua abitazione trovando tra le altre cose un fucile della Seconda guerra mondiale appartenente a suo fratello. Il commerciante fu accusato di frode fiscale e detenzione non autorizzata di un’arma da fuoco. Fu liberato in attesa del processo, la voce sulla tentata frode si diffuse rapidamente in città e Petrakis iniziò a non sopportare l’umiliazione. A luglio dello scorso anno provò a uccidersi bevendo birra mischiata a benzina, ma all’ultimo ci ripensò e fu salvato per tempo.

Tornò al lavoro ed ebbe una discussione molto accesa con un suo cliente, che gli diede dell’imbroglione davanti a tutti gli altri lavoratori del mercato. Petrakis salì in auto, recuperò il fucile a casa e fece perdere le sue tracce. Alcune ore dopo la moglie lo ritrovò agonizzante poco distante dalla sua abitazione, si era sparato alla testa e morì tra le sue braccia.