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  • Martedì 6 settembre 2011

I dischi volanti in Albania

Vincenzo Latronico racconta la grande truffa che travolse l'Albania nel 1997, intorno alla quale ruota un pezzo del suo romanzo

di Vincenzo Latronico

About fifty Albanians attempt to flee on an abandoned cargo boat that has no engine by drifting and using sheets of plastic as sails on March 18, 1997, from the port of Durres to Italy. In the early 1990s, deliberate programs of economic and democratic reform were put in place, but Albanian inexperience with capitalism led to the proliferation of pyramid schemes - which were not banned due to the corruption of the government. Anarchy in late 1996 to early 1997, as a result of the collapse of these pyramid schemes, alarmed the world. The state institutions collapsed and an EU military mission led by Italy was sent to stabilize the country. AFP PHOTO ERIC CABANIS (Photo credit should read ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)
About fifty Albanians attempt to flee on an abandoned cargo boat that has no engine by drifting and using sheets of plastic as sails on March 18, 1997, from the port of Durres to Italy. In the early 1990s, deliberate programs of economic and democratic reform were put in place, but Albanian inexperience with capitalism led to the proliferation of pyramid schemes - which were not banned due to the corruption of the government. Anarchy in late 1996 to early 1997, as a result of the collapse of these pyramid schemes, alarmed the world. The state institutions collapsed and an EU military mission led by Italy was sent to stabilize the country. AFP PHOTO ERIC CABANIS (Photo credit should read ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)

I dischi volanti del capitale atterrarono in Albania nel 1991, alla spicciolata; ne ripartirono tutti insieme nel 1996, fiammeggiando i motori, lasciando al decollo sotto di sé solo cerchi nerastri di utopia bruciata. Gli albanesi accolsero in festa i visitatori giunti dalla lontana galassia del libero mercato, che avevano attraversato il tempo e lo spazio e il muro di Berlino per trasportare ceste di doni. Fra questi doni c’erano automobili, televisori, vestiti firmati, e istituti di credito non statalizzati. Questi ultimi furono al centro di una truffa finanziaria di proporzioni colossali: se non per il valore nominale (un paio di miliardi di dollari), per l’impatto che ebbe sull’economia di un intero paese, l’Albania – e sulla vita pubblica di un altro, l’Italia. Ve li ricordate i barconi?

Il tredicimila percento
Ipotizziamo di aver affidato 100 milioni di lire, nel gennaio 1992, a una delle numerose banche private sorte rapidamente nel vuoto legislativo lasciato, in Albania, alla fine del regime socialista di Enver Hoxha. Nel gennaio 1993 avremmo avuto nel nostro conto circa 201 milioni. Nel gennaio 1995, circa 944. Nel gennaio 1996 avremmo avuto 13 miliardi e 270 milioni – con un rendimento, su quattro anni, del tredicimila percento – da scontare per un’inflazione altina, ma comunque mai sopra i 9-10 punti.

Nel 1997, invece, non avremmo avuto niente: perché in seguito all’insolvenza della prima finanziaria il governo, troppo tardi, aveva congelato i conti degli istituti privati che non erano ancora falliti. Complessivamente, le passività di quegli istituti ammontavano circa alla metà del PIL nazionale.

Che cosa era successo
In Albania si era sviluppata una colossale truffa piramidale – un cosiddetto schema Ponzi, più noto, di recente, per il caso dell’americano Bernie Madoff o del suo equivalente dei Parioli. Il funzionamento di queste truffe è semplicissimo: l’istituto promette un rendimento irragionevolmente alto, corrisposto periodicamente, a fronte di un investimento iniziale modesto. Gli investitori iniziali, vedendo che, alle prime scadenze, i soldi arrivano davvero, diffondono la voce – magari incentivati da un piano di benefici per chi porta nuovi clienti. Naturalmente, gli interessi distribuiti dalla finanziaria (quando non sono reinvestiti) provengono dalla cifra versata all’inizio dall’investitore stesso.
Nuovi clienti cominciano ad arrivare: e i loro depositi finanziano gli interessi, sempre più onerosi, dovuti ai sottoscrittori precedenti. Lo schema, è evidente, funziona solo fintanto che i nuovi sottoscrittori superano in numero quelli preesistenti (da qui il nome “piramidale”): e, in qualunque popolazione finita, è destinato a fallire. Il fallimento arriva molto rapidamente, dal momento che, per incoraggiare l’afflusso di nuovi capitali, gli interessi offerti tendono a salire con una certa rapidità. In Albania, nel 1992, erano in genere del 6% mensile; due anni dopo erano passati all’8%; due anni ancora e sfrecciavano dal 12% al 30%.

Come è stato possibile
Nei paesi europei (e non solo), un’offerta così palesemente conveniente non sarebbe possibile: non solo perché la legge lo vieta, ma perché la popolazione, anche quella più a digiuno di finanza, tenderebbe a non fidarsi di una banca sorta dal nulla che offrisse di triplicare il capitale in tre mesi. Tutto questo, in Albania, non c’era.

La transizione dall’economia pianificata (avviata nel 1991) aveva lasciato vuoti di regole enormi, soprattutto in materia economico-finanziaria. Le banche statali, inoltre, soffrivano di procedure estremamente rigide, e spesso non erano in grado di soddisfare l’altissima domanda di credito generata dal passaggio alla libera impresa. I bisogni dei nuovi piccoli imprenditori o aspiranti commercianti avevano favorito così il proliferare di un sistema di credito semi-informale, reso fruttuoso, a propria volta, dalla rapidissima crescita dell’economia nazionale. Questo sistema era inoltre tollerato dalle autorità, che – non senza alcune ragioni – lo vedevano come necessario allo sviluppo del paese. È su questo terreno – sulla clientela, e sulla fiducia di cui godevano – che hanno affondato le radici le piramidali.
Un altro fattore cruciale è stata la scarsa dimestichezza della popolazione albanese con i meccanismi della finanza capitalista – e le aspettative irragionevoli circa la loro capacità di generare ricchezza. L’Albania (come raccontato benissimo nel film Lamerica) usciva da quarant’anni di isolamento assoluto; all’arretratezza, ben più grave di quella del blocco sovietico, si sommavano i miraggi o le voci o le illusioni sul benessere in cui vivevano in quell’altro pianeta, dall’altra parte dell’Adriatico. Era da lì che venivano i dischi volanti.

Chi ci è cascato
Quasi tutti. L’FMI stima che nel 1997 i due terzi delle famiglie albanesi avessero affidato i propri risparmi, in tutto o in parte, a una finanziaria piramidale. Avevano venduto il bestiame, ipotecato le case, stretto la cinghia più che potevano: perché, ovviamente, ne valeva la pena. Non tutti credevano davvero al fatto che la “finanza capitalista” fosse in grado di offrire guadagni del genere: ma anche fra i più istruiti regnava la convinzione che i profitti fossero reali, e che le piramidali non fossero altro che il braccio economico della malavita organizzata. Gli interessi offerti corrispondevano, secondo loro, ai margini di guadagno su attività illecite (traffico di droga verso l’Europa, di armi verso l’ex Jugoslavia) che trovavano spazio, ma non capitali, nell’Albania uscita dal regime. Anche per molti dei più accorti, insomma, i guadagni erano realistici, per illegali che fossero le attività che li rendevano possibili.

È probabile che questa convinzione fosse condivisa da parte delle autorità. Sino a pochi giorni prima dello scoppio della guerra civile, il presidente Sali Berisha si ostinava a sottolineare come occorresse distinguere fra piramidali pure e “finanziarie vere”, che offrivano interessi reali derivanti da investimenti più o meno oculati. Se un margine di connivenza, e di corruzione, è stato innegabilmente necessario al successo strepitoso, e inarrestato, delle finanziarie piramidali, non si può comunque essere sicuri che questo non convivesse con una misura di buona fede.

La bolla scoppia
Nonostante alcuni timidi avvertimenti dell’FMI, il governo di Berisha esitò, fino all’ultimo, a porre un freno alle finanziarie piramidali. Chi suggeriva che i guadagni fossero eccessivi veniva additato – dagli stessi responsabili delle piramidali, ormai ascesi ai vertici della società albanese – come un socialista: qualcuno che voleva impedire al popolo di guadagnare, e tenersi i profitti per sé.

Il primo fallimento, nel novembre del 1996, non bastò a far scattare il crollo dell’intero sistema: i distinguo del governo (anche in vista delle elezioni, che si sarebbero tenute nel giugno seguente) e una massiccia campagna di aumento degli interessi offerti tennero in piedi le piramidali ancora per qualche mese. L’esaurimento del bacino di potenziali correntisti, comunque, fu evidente pochi mesi dopo: a gennaio 1997 altre due delle finanziarie più importanti dichiararono bancarotta, e le altre bloccarono i pagamenti. Nel tentativo di arginare la crisi, il governo congelò i conti di tutte le finanziarie e pose un tetto molto basso ai prelievi bancari, per evitare l’assalto agli sportelli. I correntisti, quindi, assaltarono i ministeri. E iniziò una vera rivolta armata.
A marzo il sud del paese era sotto il controllo degli insorti. Ad aprile i morti erano duemila. A giugno l’inflazione del primo semestre si stimava fra il 30 e il 40%. I barconi – noti in Italia per via dell’esodo del 1991 (prima delle piramidali, dopo l’apertura delle frontiere) – vennero silenziosamente rispolverati.

Chi ci ha guadagnato, e chi no
Non è chiaro chi abbia guadagnato dai quattro anni di piramidali. Di certo alcuni dei gestori – quelli che sono riusciti a dileguarsi prima del crollo, o che hanno avuto la lungimiranza di occultare parte dei fondi. Altrettanto certamente ci ha guadagnato chi – soprattutto banche estere – ha comprato immobili ai prezzi irrisori a cui erano scesi nel 1996, quando chiunque cercava di monetizzare ogni proprietà per investire nelle piramidali, e l’offerta immobiliare superava di molto la domanda. Molte persone con cui ne ho parlato, e che erano lì, sostengono che ci abbia guadagnato anche la Grecia – che temeva che la crescita dell’economia albanese l’avrebbe sottratta alla sfera d’influenza greca, in cui invece avrebbe dovuto rientrare naturalmente dopo la fine del regime.

Tutti gli altri ci hanno perso. Il paese che – prima delle piramidali – mostrava la crescita più forte e veloce di tutto il blocco ex-socialista si è ritrovato, nel giro di pochi anni, in una situazione ben peggiore di prima (“si stava meglio quando si stava peggio”). Migliaia di persone sono morte, decine di migliaia sono emigrate, dopo aver perso tutto ciò che avevano. A tutt’oggi, in molti quartieri di Tirana, la continuità elettrica è garantita dai generatori privati che rombano e scoppiettano di notte, per le strade.

“Ogni epoca”, scriveva Charles MacKay nel 1841, “ha una sua particolare follia: uno schema, un progetto, una fantasticheria in cui si tuffa, spinta dall’amore per il profitto, dal desiderio di avventura o dalla pura e semplice forza dell’imitazione.” Il libro si intitola Extraordinary Popular Delusions or the Madness of Crowds, e racconta, nella sua prima parte, di colossali e paradossali bolle speculative analoghe, forse, a quella albanese. È online in inglese qui.
La frase iniziale di questo pezzo, quella sui dischi volanti, e alcune sue parti vengono invece dal mio romanzo, La cospirazione delle colombe, di cui i lettori del Post potrebbero ricordarsi per via di questi capitoli (il peraltro direttore ne ha parlato qui). Ne ho messo online un altro capitolo – quello, a metà libro, che parla proprio, in versione romanzata e con alcune libertà, dell’atterraggio dei dischi volanti in Albania. Nel resto del romanzo si parla anche di altre truffe piramidali, più recenti, e di invenzione; ho iniziato a scriverlo prima che si sapesse di Madoff, ma questo non significa niente – ce ne sono state, ce ne saranno. Il capitolo è anche stato letto, da Filippo Cecconi (che suona come solista sotto il nome di fpunto, e in gruppo con i Ministri), in un festival milanese; il video è qui.

(ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)