In difesa dei calciatori

Fabrizio Bocca su Repubblica spiega che lo sciopero dei calciatori non è un vero sciopero, che non crea disagi e che i soldi non c'entrano

Si parla molto in questi giorni del cosiddetto minacciato “sciopero dei calciatori”, spesso inanellando sul tema una serie di imprecisioni e semplificazioni più o meno grandi. Fabrizio Bocca su Repubblica mette le cose al loro posto.

Quando in Italia si parla di sciopero del calcio, o meglio dei calciatori, lo sdegno trasuda da ogni dove. E immediatamente si parla di sciopero dei milionari, dei ricchi privilegiati e così via. Niente come lo sciopero del calcio solleva un sentimento generale di disapprovazione. Che però, secondo me, si riduce spesso a un mix di luoghi comuni e di populismo. Se vogliamo essere nazional popolari, dunque, diamo addosso ai calciatori in sciopero e tiriamo loro pomodori, la prossima volta. La maggioranza ne sarà gratificata.

Ma se invece ci interessa di più ragionare e capire basta puntualizzare alcune cose. E magari non necessariamente, alla fine, giustificare lo sciopero dei calciatori. Ma intanto, almeno, capire.

1) Lo sciopero del calcio non provoca disagio.
Cosa c’è di così sconvolgente in uno sciopero del calcio? Quali disagi porta ai cittadini? Direi nessuno. Ci sono molte categorie dello spettacolo che scioperano, spesso può capitare che i cinema o i teatri restino chiusi e non mi sembra che nessuno protesti. Il calcio non è un bene strettamente necessario. Se si fermano i bus, i treni, gli aerei e in genere i trasporti avremo molti disagi certo, ma siamo pronti anche ad accettarli perché le categorie dei lavoratori coinvolte hanno diritto di sciopero. Riconosciuto a tutti, anche ai calciatori dunque. Se accettiamo questo, a maggior ragione penso che possa saltare senza alcun problema anche una partita o un’intera giornata di serie A. Altrettanto se scioperano gli infermieri, o gli statali, o i bancari: non avremo più problemi se dobbiamo fare file di ore per farsi curare in ospedale oppure se non riusciamo a fare un certificato al comune, o se non possiamo accedere al nostro conto corrente in banca? Lo sciopero del calcio dunque non provoca alcun particolare disagio sociale.

2) Lo sciopero del calcio non è un’anomalia italiana.
Non è la prima volta che il calcio sciopera in Italia, in questo momento stanno scioperando i calciatori spagnoli, e negli Stati Uniti negli anni gli scioperi negli sport professionistici sono stati frequentissimi. Quindi lasciamo perdere il concetto “solo in Italia può accadere una cosa del genere…”.

3) Lo sciopero del calcio non è uno sciopero.
Concetto ripetuto molte volte, ma vale la pena ripeterlo. Uno sciopero vero, un’astensione autentica dal lavoro, comporterebbe l’annullamento della giornata di serie A, dando vita così a un campionato di 33 giornate e non di 34 come da calendario. Diventerebbe di 32 se le giornate di sciopero raddoppiassero e così via. Uno sciopero vero comporterebbe ovviamente anche la giusta trattenuta della quota parte di stipendio, come avviene per tutti i lavoratori di questo mondo. A questo non siamo ancora arrivati: la giornata viene semplicemente rimandata, si gioca in altra data, e non c’è alcuna soppressione, il numero delle partite della serie A rimane tale e quale. A nessuno dunque viene tolto qualcosa. Ai presidenti stessi, agli spettatori, agli abbonati allo stadio e alla tv non viene tolta la partita e ai calciatori non viene toccato lo stipendio. Lo sciopero nel calcio dunque è sostanzialmente una “dimostrazione”, il campionato comincerà semplicemente un po’ più in là. Certo se cominciassero ad accumularsi le giornate di campionato da recuperare sarebbe un bel problema. Ma non credo ci si arriverà…

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