Gli Shuttle che non sono tornati

Gli incidenti del Challenger e del Columbia, i momenti più difficili per il programma spaziale della NASA che si chiude in questi giorni

di Emanuele Menietti

Ieri lo Shuttle Atlantis è partito per l’ultima volta dal Kennedy Space Center in Florida per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). La missione dell’astronave segna anche la fine del programma Shuttle, che in 40 anni ha portato a grandi successi e progressi scientifici, consentendoci di conoscere meglio come funzionano le cose nello spazio, riparare satelliti direttamente in orbita come nel caso del telescopio Hubble e assemblare una casa fuori dall’atmosfera, a 350 chilometri dalla Terra, con i moduli della ISS.

In questi giorni in molti hanno giustamente celebrato i traguardi raggiunti attraverso le 135 missioni shuttle che hanno portato altrettanti equipaggi in orbita. Tuttavia, tecnici, progettisti e ingegneri della NASA non hanno imparato solamente dai loro successi, ma anche da alcuni dolorosi e tragici insuccessi. I momenti più difficili nella storia degli Shuttle sono stati sicuramente gli incidenti del Challenger e del Columbia, che si disintegrarono sopra i cieli d’America causando la morte dei loro rispettivi equipaggi. I due disastri causarono la morte di 14 persone, che vanno ricordate anche oggi mentre si festeggia l’ultimo volo dell’Atlantis.

Challenger
Nella mattina del 28 gennaio del 1986 il Challenger era pronto sulla rampa di lancio per l’avvio della missione STS-51L. A bordo dell’astronave prossima alla partenza c’erano i sette membri dell’equipaggio Ellison Onizuka, Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, Judith Resnik, Michael J. Smith, Francis “Dick” Scobee e Ronald McNair. McAuliffe era una maestra elementare e partecipava alla missione grazie al Teacher in Space Project, una iniziativa voluta dall’allora presidente Ronald Reagan per incentivare l’interesse degli studenti nelle scienze e rendere onore agli insegnanti statunitensi.

Dopo le procedure di rito e i numerosi controlli di sicurezza, il countdown proseguì normalmente arrivando al momento zero, quello in cui si avvia la procedura finale per portare in pochi minuti lo Shuttle in orbita. Ad assistere al lancio, avvenuto alle 11.38 del mattino, c’erano i parenti e gli amici degli astronauti, la stampa e il tradizionale gruppo di appassionati. Il lancio venne trasmesso anche in diretta dalle principali emittenti televisive e l’interesse per la missione era più alto del solito grazie alla presenza della maestra che viaggiava verso lo spazio.

A 73 secondi dal lancio, il Challenger si disintegrò sull’Oceano Atlantico in una enorme nube di fumo e detriti, uccidendo tutti i membri dell’equipaggio. L’incidente, scoprirono i tecnici della NASA nei mesi seguenti, fu causato dal malfunzionamento di una guarnizione nella porzione inferiore del razzo a propellente solido destro (uno dei due razzi bianchi attaccati al grande serbatoio centrale, quello di colore arancione), forse a causa delle basse temperature cui venne effettuato il lancio. I gas ad altissima pressione all’interno del razzo fuoriuscirono con violenza dalla fessura non isolata dalla guarnizione, causando infine un grave cedimento che, complici le grandi forze aerodinamiche in gioco, portarono il Challenger a disintegrarsi. La NASA tornò a far volare gli Shuttle solo due anni dopo, e dopo molte indagini, con la missione “Ritorno al volo”.

Poche ore dopo l’incidente, Reagan decise di rimandare di una settimana il tradizionale discorso sullo Stato dell’Unione previsto per quella sera. Il presidente comparve in televisione per rendere onore ai membri dell’equipaggio con un breve messaggio alla nazione in cui citò anche il poeta John Gillespie Magee, morto nella Seconda guerra mondiale mentre pilotava il suo aeroplano.

«Non li dimenticheremo mai, né l’ultima volta che li vedemmo, questa mattina, mentre si preparavano per il loro viaggio, salutavano e “fuggivano dalla scontrosa superficie della Terra” per “sfiorare il volto di Dio”»

Columbia
A differenza dell’incidente del Challenger, il disastro che portò alla distruzione del Columbia avvenne nella fase di rientro dello Shuttle nell’atmosfera. Il primo febbraio del 2003 l’astronave era di ritorno sulla Terra dopo aver concluso la missione STS-107. A bordo dello Shuttle c’erano i sette astronauti David Brown, Laurel Clark, Michael Anderson, Ilan Ramon, Rick Husband, Kalpana Chawla e William McCool. Avevano trascorso in orbita sedici giorni, lavorando principalmente ad alcuni esperimenti sulla parziale assenza di gravità, e si preparavano a riabbracciare amici e parenti.

Ricevuto il via libera, l’equipaggio avviò le procedure per il turbolento rientro dello Shuttle nell’atmosfera terrestre, una fase delicata perché il passaggio dallo spazio all’atmosfera porta alla produzione di grandi quantità di calore dovute alla collisione delle molecole d’aria con la navicella. In sei minuti, la temperatura sul bordo d’attacco delle ali dello Shuttle arriva a circa 1400 °C. A otto minuti dall’ingresso in atmosfera, il Columbia entrò nel periodo in cui solitamente si registrano le massime temperature e il maggior stress termico per la struttura dell’astronave. Pochi minuti dopo il Columbia entrò sui cieli del Texas e in pochi istanti si sgretolò, producendo una pioggia di detriti e causando la morte dell’intero equipaggio.

Le indagini successive all’incidente consentirono di identificare la causa del disastro. Un pezzo di schiuma isolante staccatosi dal serbatoio esterno dello Shuttle (l’alto cilindro di colore arancione utilizzato per alimentare i motori che portano in orbita la navicella) durante il lancio aveva colpito l’ala sinistra del Columbia, danneggiando parte del rivestimento termico dell’ala, quello che protegge l’astronave dalle alte temperature che si sviluppano nella fase di rientro nell’atmosfera. Il danno fu rilevato mentre lo Shuttle era in orbita, ma i tecnici della NASA stabilirono che fosse di entità trascurabile. Le mattonelle del rivestimento danneggiato, invece, si sgretolarono consentendo al calore di penetrare nella struttura dello Shuttle portando al cedimento strutturale.

Il presidente di allora, George W. Bush, tenne un breve discorso alla nazione il giorno stesso, come aveva fatto diciassette anni prima Ronald Reagan, rendendo onore ai membri dell’equipaggio e annunciando l’avvio delle indagini perché un simile disastro non si potesse ripetere in futuro. I voli degli Shuttle furono sospesi per circa due anni e la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale fu ritardata. In quel periodo i viaggi verso la ISS furono garantiti dall’agenzia spaziale russa con le Soyuz, come accadrà nei prossimi anni con la chiusura del programma shuttle, in attesa dell’arrivo dei voli spaziali gestiti dai privati.