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  • Giovedì 30 giugno 2011

La Freedom Flotilla II vista da Israele

Terroristi o intellettuali? Rispondere con la forza o scortarli a Gaza? Le opinioni della stampa sono molto diverse e distanti

Mentre la Freedom Flotilla II, una flotta di navi che intende arrivare a Gaza trasportando aiuti umanitari e forzando il blocco navale israeliano, aspetta ancora di partire, in Israele il dibattito sui mezzi di informazione è molto vivo. Si discute su quale sia il vero intento della spedizione, se pacifica o provocatoria, e sul modo in cui il governo ha deciso di gestire la situazione: Netanyahu ha annunciato che anche questa volta userà la forza per garantire il rispetto del blocco, e il ministro della difesa Barak ha detto che alcuni manifestanti arriveranno per cercare lo scontro. Israele ha annunciato da tempo che le navi potranno attraccare nel porto israeliano di Ashdod e che, dopo un’ispezione, gli aiuti umanitari che trasportano potranno essere inviati a Gaza via terra.

Le opinioni sui giornali israeliani sono molto distanti e opposte, per diversi aspetti. Tra i giornali più critici nei confronti del governo c’è Haaretz, il quotidiano fondato nel 1939 spesso critico delle politiche governative nella gestione del conflitto arabo-israeliano. Nonostante abbia una diffusione numerica relativamente limitata, negli anni si è guadagnato la reputazione del quotidiano più autorevole di Israele (il Post si era già occupato della sua storia e del suo ruolo tra i mezzi di comunicazione israeliani).

Un’editoriale non firmato del 27 giugno, intitolato Lasciate passare la flotilla non risparmia parole forti sull’attuale situazione a Gaza. Il primo contributo della Freedom Flotilla, dice, è simbolico: ricordare al mondo che “la popolazione di Gaza resta sotto occupazione”. Il governo, prosegue, sembra comportarsi come se si fosse nell’imminenza di un attacco armato, e dimostra così di non aver imparato niente da quello che è successo un anno fa nella tragica incursione delle forze speciali israeliane contro la Mavi Marmara, che si concluse con la morte di nove attivisti turchi. Da quella vicenda, dice il quotidiano di orientamento progressista, ha imparato solo la “lezione militare”. Questo atteggiamento minaccioso, infine, non fa che dare maggior risalto alla spedizione, e finirà per danneggiare ulteriormente la reputazione di Israele nel mondo.

Oggi è apparso poi un altro articolo sullo stesso giornale, firmato da Gideon Levy, uno dei suoi giornalisti più celebri (un’altra, Amira Hass, dovrebbe addirittura essere a bordo del convoglio). Levy ha posizioni ancora più dure nei confronti del governo, e allarga la riflessione a come l’intera società israeliana stia reagendo all’annuncio dell’arrivo della Freedom Flotilla. Il pezzo inizia così:

Stiamo prestando ascolto a noi stessi? Siamo ancora capaci di renderci conto del brutto rumore che arriva da qui? Abbiamo notato come il discorso pubblico stia diventando sempre più violento e come il linguaggio della forza stia per diventare l’unica lingua ufficiale di Israele?

Levy prosegue dicendo che tra gli attivisti che partiranno con la flotilla ci sono molte persone che in passato hanno combattuto contro l’apartheid e le guerre ingiuste, anche se vengono descritti per lo più come un gruppo di banditi. Tra questi, dice Levy, ci sono intellettuali e sopravvissuti dell’Olocausto: parlare a loro favore, oggi, in Israele, è diventato un “tradimento”. Ammette che è possibile che tra di loro ci sia qualche violento, ma la grande maggioranza è formata da persone pacifiche, “che non odiano Israele ma le sue ingiustizie”.

Diverse altre opinioni che si possono leggere sulla stampa israeliana sono molto chiare nella critica all’operazione della Freedom Flotilla. Un articolo di Jason Edelstein su Yediot Aharonot (quotidiano con sede a Tel Aviv e il più letto in Israele) dice che lo scopo della spedizione è solo quello di aumentare la tensione nel conflitto arabo-israeliano, e che i suoi partecipanti sono “un gruppo marginale di estremisti che lavora fianco a fianco con i terroristi”. Invece di trovare soluzioni costruttive per la situazione, promuovono “odio, violenza e caos”.

Edelstein si concentra poi sui gruppi che hanno organizzato il convoglio. Tra le numerose organizzazioni non governative coinvolte, alcune sono finanziate dall’Unione Europea e da diversi governi, soprattutto scandinavi: “perché i governi europei stiano prestando supporto a questa iniziativa contraria alla pace è incomprensibile”. L’articolo continua dicendo che la spedizione della Freedom Flotilla è inutile, perché anche se la situazione è piuttosto dura, a Gaza non c’è alcuna emergenza umanitaria. Lo scopo della spedizione è solo quella di provocare Israele e, una volta scatenata la legittima reazione, accrescerne l’isolamento internazionale.

Argomenti non molto diversi si leggono nell’editoriale non firmato del 27 giugno sul Jerusalem Post, il più diffuso quotidiano israeliano in lingua inglese. Molto conosciuto all’estero e diffuso in patria solo con qualche decina di migliaia di copie, il giornale era inizialmente di orientamento progressista, ma si è spostato su posizioni più di destra negli ultimi anni. Il blocco navale di Gaza, dice l’editoriale, è legittimo per motivi di sicurezza e impedisce l’arrivo di armi. In questa situazione, alcuni organizzatori della Freedom Flotilla sembrano spingere in direzione dello scontro. Anche secondo il Jerusalem Post la popolazione di Gaza non ha alcun bisogno di iniziative umanitarie straniere: la gente si sta anche rendendo conto che il governo di Hamas sta peggiorando molto la situazione nella Striscia, e sta negando il suo sostegno all’organizzazione.

foto: Alessio Romenzi/AFP/Getty Images