Perché Instapaper non è più gratis

L'inventore della celebre applicazione per iPhone e iPad spiega perché ne ha rimosso la versione free

Marco Arment ha 28 anni, vive a New York, è stato uno dei principali sviluppatori di Tumblr e dal 2008 si occupa di Instapaper, una applicazione che ha creato per gli iPhone e successivamente per gli iPad che ha riscosso un notevole successo.

Instapaper ti consente di mettere da parte gli articoli che trovi online e che ti interessano, ma che sul momento non hai tempo di leggere. Per farlo usi un semplice segnalibro (bookmark) da tenere nel programma col quale navighi sul web: vedi un articolo, fai clic sul segnalibro e Instapaper raccoglie il testo, lo prepara e te lo fa poi trovare sul tuo iPhone o iPad dove hai installato l’applicazione. In un secondo momento puoi così accedere agli articoli che avevi messo da parte e leggerli in un formato adatto agli schermi dei dispositivi mobili Apple, dove viene privilegiato il testo e lasciati in secondo piano gli altri elementi delle pagine originali dei siti dove avevi trovato l’articolo.

Grazie alla sua semplicità d’uso e alla possibilità di mantenere le letture sincronizzate anche tra iPhone e iPad diversi, Instapaper ha riscosso molto successo ed è tra le applicazioni più scaricate nel suo genere. Parte del successo, almeno di quello iniziale, può essere naturalmente ricondotta alla versione gratuita dell’applicazione, che nei primi tempi ha indotto molti utenti a provare Instapaper.

Fino a qualche tempo fa, il piccolo programma poteva essere scaricato sia in forma gratuita, con funzionalità limitate, o in versione integrale a pagamento. Da circa un mese Arment ha deciso di lasciare sull’App Store la sola versione a pagamento, registrando ugualmente un sensibile aumento delle vendite, cosa che sta facendo riflettere i produttori di applicazioni, convinti in genere che le versioni gratuite dei loro prodotti siano il traino principale per poter vendere le edizioni complete a pagamento. Sul suo blog, Arment ha spiegato ieri come sta andando il suo esperimento.

Lo scorso autunno, ho deciso di fare un test: ho rimosso senza dire nulla la versione gratis di Instapaper dall’App Store per tre giorni, lasciando solamente la versione completa, quella da 4,99 dollari. Le vendite non sono solamente aumentate, ma nessuno sembra essersene accorto. Il 12 marzo, sapendo che stavo per registrare un nuovo aumento delle vendite grazie al lancio dell’iPad 2, ho nuovamente rimosso la versione gratis, questa volta per un mese. E di nuovo, nessuno l’ha notato, e le vendite sono aumentate (anche se in questo caso è difficile dire quale parte dell’aumento sia attribuibile all’assenza della versione gratis e quale al lancio stesso dell’iPad 2). Questa pausa è andata così bene che ho deciso di spostare avanti l’esperimento di un altro mese. Potrei proseguirlo fino a tempo indefinito, abbandonando di fatto la versione gratis di Instapaper.

Quando era disponibile, la versione gratuita veniva scaricata in media tre volte più di frequente rispetto a quella a pagamento. Si tratta di una proporzione molto buona, specialmente se si considera che Instapaper costa 4,99 dollari. Inoltre, la metà dei ricavi legati a Instapaper per Arment derivano dalla versione per iPad, che non ha mai avuto una sua edizione gratuita di prova sull’App Store.

Eliminare la versione gratuita, che consente di salvare un numero ridotto di articoli e rende obbligatoria la visualizzazione di alcuni annunci pubblicitari, per Arment significa risparmiare anche un bel po’ di soldi. Chi usa l’applicazione gratuita sfrutta i sistemi di sincronizzazione degli articoli e questi sono un costo per Arment, solo in parte ripagato dagli annunci pubblicitari. Questi rendono in base al numero di volte in cui vengono visualizzati e ci vogliono un sacco di visualizzazioni per arrivare a una cifra paragonabile ai cinque dollari richiesti per la versione a pagamento.

Secondo Arment, la scelta di rendere solo a pagamento l’applicazione ha il vantaggio di escludere gli utenti meno desiderabili. Chi fino a ora ha scaricato la versione gratuita ha poi spesso dato un giudizio negativo sull’applicazione all’interno dell’App Store. Questo è in parte dovuto al fatto che la versione gratuita ha meno funzionalità, salva un minor numero di articoli e ha le pubblicità in evidenza, tutti particolari che non piacciono agli utenti. La versione a pagamento, invece, riceve quasi sempre recensioni positive e raccoglie intorno a sé utenti maggiormente motivati, felici di spendere qualche dollaro per un programma che trovano utile e semplice da usare.

Non ho bisogno di tutti i clienti. Sono principalmente interessato a vendere un prodotto per farci qualche soldo. Quante energie dovrò mai spendere per soddisfare delle persone che non hanno la possibilità o non vogliono pagare per nulla? (Questa è una delle principali ragioni per cui non ho alcuna intenzione di fare una versione per Android.)

Arment sospetta anche che il numero di persone passate dalla versione gratuita a quella a pagamento siano relativamente poche. La maggior parte di chi ha acquistato l’applicazione erano persone già determinate a spendere qualche soldo e convinte della bontà del prodotto, magari da un amico o da qualche recensione letta online. Gli utenti della versione gratuita dicono di essere a posto così e non sono quindi motivati a passare all’altra edizione e costituiscono quindi un basso valore aggiunto per gli affari di Arment.

Chi usa la versione gratuita non ha bene idea di quali siano i vantaggi dell’edizione completa, perché difficilmente c’è la possibilità di provarli, magari sull’iPhone di un amico. Gli stessi si convincono che non sia poi così fastidioso usare l’applicazione con gli annunci pubblicitari e non cercano di meglio, comprando l’edizione a pagamento.

Da quando è sparita dall’App Store, la versione gratis non è stata più richiesta dagli utenti. Questo naturalmente non significa che le applicazioni gratuite non portino alcun valore aggiunto per chi realizza quelle a pagamento, molto dipende dal tipo di applicazione e dal prezzo, ma secondo Arment: «Quando non c’è la possibilità di avere una cosa gratuitamente e l’unico modo per provare un’applicazione è pagare una piccola quantità di denaro, le persone lo fanno. Non tutti, ma un buon numero».