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  • Mercoledì 27 aprile 2011

Il numero due di Al Qaida, quello vero

La storia di Khalid Mohammed, il terrorista che dopo il WTC voleva colpire Heathrow e Dubai

UNDATED: These undated Federal Bureau of Investigation (FBI) handout photos of suspected al Qaeda commander Khalid Sheikh Mohammed were marked with the word "Located" after Mohammed's arrest March 1, 2003 in Pakistan. According to news reports, Mohammed is suspected of being the chief planner of the September 11, 2001 terrorist attacks. (Photo by FBI/Getty Images)
UNDATED: These undated Federal Bureau of Investigation (FBI) handout photos of suspected al Qaeda commander Khalid Sheikh Mohammed were marked with the word "Located" after Mohammed's arrest March 1, 2003 in Pakistan. According to news reports, Mohammed is suspected of being the chief planner of the September 11, 2001 terrorist attacks. (Photo by FBI/Getty Images)

Ieri la stampa ha riportato l’uccisione di Abu Hafs al Najdi, descrivendolo come “il numero due di Al Qaida”. In passato si è fatta una certa ironia su come si faccia in fretta a descrivere questo o quel terrorista come “il numero due di Al Qaida”: ne avremo contati quattro o cinque, finora. Se c’è una persona che si presta più di tutte le altre alla descrizione di “numero due di Al Qaida”, però, quella è Khalid Shaykh Mohammed, la cui storia è contenuta nei file su Guantanamo che Wikileaks ha ottenuto e consegnato a varie testate. Ne scrive lo Spiegel.

L’11 settembre del 2001, mentre due aerei di linea si schiantavano contro il World Trade Center a New York, Khalid Shaykh Mohammed e Ramzi Binalshibh stavano andando verso Karachi, in Pakistan. Qualche ora dopo arrivarono in un luogo sicuro, una base di Al Qaida, e si misero davanti alla televisione a godersi lo spettacolo. Usare un aeroplano per un attentato era un suo sogno, disse lo stesso Mohammed. Lo ha raccontato Ramzi Binalshibh mentre si trovava a Guantanamo, la sua deposizione è contenuta nei file resi pubblici da Wikileaks.

In questi resoconti si racconta come Khalid Shaykh Mohammed, considerato l’architetto degli attacchi dell’11 settembre, avesse pianificato anche un attacco all’aeroporto britannico di Heathrow, vicino Londra. Era il giugno del 2002 quando Khalid Mohammed raccontò a Binalshibh del suo piano: dirottare un aereo di linea appena decollato, farlo tornare indietro e farlo schiantare contro l’aeroporto. Mohammed aveva già due cellule pronte a eseguire l’attentato. I membri del primo gruppo erano residenti in Gran Bretagna e avevano ricevuto l’ordine di seguire dei corsi da pilota di aerei in Kenya, così da poter prendere il controllo dell’aereo. Il secondo gruppo avrebbe cercato in Arabia Saudita persone pronte a fare i kamikaze, così come era accaduto per l’attacco al World Trade Center. Le dichiarazioni ottenute dai prigionieri di Guantanamo durante gli interrogatori vanno prese molto con le molle, visto che è capitato che venissero estorte con la tortura. È il caso dello stesso Mohammed, anche lui a un certo punto arrestato e interrogato con la tecnica del “waterboarding” – versare dell’acqua sulla faccia del detenuto così da dargli una sensazione di annegamento.

Anche con tutte le cautele del caso, ci sono molte indicazioni che suggeriscono l’avanzato stato di pianificazione dell’attentato a Heathrow. Altri detenuti hanno parlato del piano e hanno detto che questo era argomento di discussione all’interno di Al Qaida. I file di Guantanamo descrivono Khalid Mohammed come un detenuto fiero ma collaborativo: voleva essere condannato a morte dagli americani, così da diventare un martire il prima possibile, e quindi ha raccontato dettagliatamente i suoi piani e la sua storia.

Ha confermato quello che di lui già si sapeva: che era stato scelto direttamente da Osama bin Laden come capo delle operazioni di Al Qaida, l’uomo che aveva in carico la realizzazione concreta delle azioni terroristiche. Ha detto altro, durante gli interrogatori che più di una volta sono ricorsi al waterboarding. Ha detto di aver dato a un cittadino americano membro di Al Qaida, Jafar al-Tayar, l’ordine di perlustrare il canale di Panama per vedere se si potevano far saltare in aria una o due navi piene di esplosivo. La sua ossessione, però, erano gli aeroplani. E la Casa Bianca, che non era riuscito a colpire l’11 settembre del 2001.

Avrebbe voluto colpire “il più alto edificio della California”, sempre con un aereo dirottato, e una nave occidentale al porto di Dubai. Anche questo piano era in uno stadio di qualche avanzamento: quattordici prigionieri di un certo rango hanno confermato che era già stato trovato l’esplosivo, che sarebbe arrivato a Dubai attraverso lo Yemen. Nell’aprile del 2002 un altro membro americano di Al Qaida, Lyman Faris, aveva avuto ordine di studiare la possibilità di infiltrarsi nell’area merci degli aeroporti, allo scopo di far esplodere aerei cargo schiantandoli su vari edifici degli Stati Uniti, tra cui il ponte di Brooklyn a New York. Una di queste idee era particolarmente innovativa. Era il settembre del 2002, le forze di sicurezza americane e pakistane avevano trovato una serie di videogiochi SEGA le cui cartucce erano state modificate, riempite di esplosivo e affiancate da un dispositivo in grado di farle esplodere a distanza, usando un telefono cellulare.

Khalid Mohammed gestiva anche notevoli risorse economiche, era una specie di bancario mobile. Ha detto lui stesso agli americani di aver pagato per molti anni Hambali, un noto e importante terrorista indonesiano, responsabile dell’attentato a Bali del 2002. Ed era violento, molto. Sempre nel 2002 litigò con un altro membro di Al Qaida, Saif al-Adel, su cosa fare del giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl, rapito in Pakistan. Al-Adel aveva consigliato cautela, chiedendogli di lasciare il giornalista a un altro gruppo o liberarlo e basta. Mohammed la pensava diversamente. Daniel Pearl fu ucciso tre giorni dopo quella discussione.

foto: FBI/Getty Images