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  • Venerdì 25 febbraio 2011

La nuova stretta della Cina su Internet

Da ieri è bloccato anche LinkedIn, che permetteva di aggirare il blocco su Twitter

di Simone Incontro

To go with AFP story by Francois Bougon: LIFESTYLE-CHINA-US-IT-INTERNET-GOOGLE
A woman works online in her cubicle at an office in Beijing on February 4, 2010. China's homegrown social media sites like Weibo are booming thanks to their better knowledge of the world's largest Internet market, and the censorship stifling foreign rivals like Facebook, Twitter, and Google-owned YouTube. AFP PHOTO/Frederic J. BROWN (Photo credit should read FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images)
To go with AFP story by Francois Bougon: LIFESTYLE-CHINA-US-IT-INTERNET-GOOGLE A woman works online in her cubicle at an office in Beijing on February 4, 2010. China's homegrown social media sites like Weibo are booming thanks to their better knowledge of the world's largest Internet market, and the censorship stifling foreign rivals like Facebook, Twitter, and Google-owned YouTube. AFP PHOTO/Frederic J. BROWN (Photo credit should read FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images)

Dopo Facebook, Twitter e Youtube, il governo cinese ha bloccato anche Linkedin. Da ieri notte in Cina, infatti, non è più possibile accedere al social network del mondo delle professioni, a meno che non si utilizzino dei proxy server o delle vpn (virtual private network). Il Wall Street Journal riporta che il responsabile della Sicurezza interna, Zhou Yongkang, dopo le manifestazioni di domenica scorsa, abbia dato ordini ai funzionari che supervisionano la Rete di essere rigidissimi nei controlli soprattutto per quanto riguarda i social network. Nessuno di questi – cinesi compresi – è ormai al sicuro.

Ne stanno facendo le spese gli stessi giovani cinesi che utilizzano il sito di microblogging Sina Weibo e il sito in stile Facebook, RenRen. Ma perché anche LinkedIn, il sito internet legato al business? Kai Lukoff spiega il motivo su TechRice: “LinkedIn era il modo più semplice per aggirare la censura e accedere a Twitter in Cina. LinkedIn permetteva agli utenti di connettersi agli account di Twitter e, in questo modo, si potevano mandare dei tweet utilizzando LinkedIn”. LinkedIn sarebbe stato bloccato per alcuni post legati alla cosiddetta “rivolta dei Gelsomini” che ha avuto luogo in tredici città cinesi la scorsa domenica. Secondo BusinessWeek a far scattare il blocco è stato l’utente di Linkedin “Jasmine Z”, che due giorni fa aveva creato un gruppo di discussione sulle rivolte che stanno avvenendo in Nord Africa e in Medioriente, chiamato “Jasmine Voice”.

“Dopo anni in cui ho pensato sempre con la mia testa, sto diventando una voce di dissenso e sono pronto a morire per la democrazia, la libertà e la giustizia nella mia terra”, ha scritto Jasmine Z nel primo dei suoi tre post. Nel secondo si diceva che i membri del Partito comunista cinese non sono riusciti “a capire la crisi del sistema autocratico basato sul partito unico” e nel terzo si faceva riferimento al partito descrivendolo come “un club elitario e di potere”. Subito dopo la messa on line del terzo post, l’account è stato cancellato.

La censura del regime cinese sta colpendo duramente anche il maggiore sito di microblogging in Cina Sina Weibo. Se la scorsa settimana sono riusciti a sfuggire alla censura alcuni suoi post con la parola “Jasmine”, ora il sistema di controllo funziona in modo perfetto. Ne sta facendo le spese anche l’opera cinese “Jasmine Flower”, commenta un giovane cinese con cui abbiamo parlato.

Un’altra parola che è diventata “sensibile”, quindi censurata, è il nome cinese dell’ambasciatore americano a Pechino e possibile candidato alle prossime presidenziali, Jon Huntsman, che domenica scorsa, si trovava (“casualmente”, per la diplomazia statunitense) nel luogo di quello che doveva essere un corteo di solidarietà per le rivolte in Nordafrica e in Medio Oriente, davanti al McDonald’s di Wanfujing, nel cuore della capitale cinese. Il video – che lo ritrae con un giubbino di pelle in stile Top Gun con lo stemma della bandiera, occhiali da sole – ha fatto il giro della Rete e per il portale anti-Usa C4 le immagini proverebbero che dietro alla rivolta dei Gelsomini c’è la mano del Paese guidato da Obama, che vorrebbe vedere una Cina in preda al caos, con un’ondata di manifestazioni a favore della democrazia e della libertà. A conclusione del video compaiono frasi come “La Cina ha molti problemi ma non vuole essere un altro Iraq, un’altra Tunisia o un altro Egitto. Non lo sarà mai”.

Guardando il filmato con alcuni giovani cinesi (la maggioranza di loro non sapeva delle manifestazioni della scorsa domenica) a Hong Kong, il primo commento è da parte di un ragazzo di Shenzhen che scherza: “Forse questo video è stato lanciato da Kfc (la catena concorrente di McDonald’s) dato che si legge bene l’insegna del McDonald’s di Wanfujing”. Poi sempre lui, si fa più serio: “Avevo sentito parlare di queste manifestazioni e ho pensato che queste proteste fossero fuori luogo, se non inutili. La Cina è diversa, ad esempio, dalla Libia ma non riesco a capire perché navigare in Internet in Cina stia diventando sempre più difficile e non escludo che presto, se si ripetessero altre manifestazioni, possa scendere anch’io in piazza”. In questi giorni su internet si stanno diffondendo inviti a continuare ogni domenica la “rivolta dei Gelsomini”.

foto: FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images