Le proteste in Tunisia

23 morti identificati nelle repressioni dei manifestanti contro la disoccupazione e il regime ventennale di Ben Ali

A Tunisian demostrator injured in clashes with security forces lays on the ground on January 9, 2011 in Regueb, near Sidi Bouzid. Protests sparked by high youth unemployment have spread from the central town of Sidi Bouzid to other parts chiefly in the north African country's interior, which lags behind the prosperous coastal areas.At least 20 people were killed in weekend clashes with police in two central Tunisian towns amid protests over the cost of living, the opposition said today, contradicting an official toll of two dead. AFP PHOTO/STR (Photo credit should read STR/AFP/Getty Images)
A Tunisian demostrator injured in clashes with security forces lays on the ground on January 9, 2011 in Regueb, near Sidi Bouzid. Protests sparked by high youth unemployment have spread from the central town of Sidi Bouzid to other parts chiefly in the north African country's interior, which lags behind the prosperous coastal areas.At least 20 people were killed in weekend clashes with police in two central Tunisian towns amid protests over the cost of living, the opposition said today, contradicting an official toll of two dead. AFP PHOTO/STR (Photo credit should read STR/AFP/Getty Images)

Le cifre sono confuse, ma Le Monde sostiene che ieri sera fossero 23 i morti identificati negli scontri tra giovani manifestanti e polizia ed esercito in Tunisia, uccisi in diverse città: Tala, Kasserine, Rgeb. Le proteste sono diventate più intense e la repressione più violenta negli ultimi due giorni, ma erano cominciate il 17 dicembre dopo che un giovane venditore ambulante si era dato fuoco per contestare il sequestro della sua merce: dopo di lui almeno altre cinque persone si sono date fuoco. Secondo la versione ufficiale, che ha parlato solo di pochi morti negli scontri, si è trattato di “legittima difesa da parte delle forze dell’ordine intervenute per difendere alcuni edifici governativi”.

In Tunisia una facciata di tranquillità politica imposta dalla autoritaria presidenza ventennale di Ben Ali e dagli investimenti nell’educazione e nel controllo dell’islamismo nasconde un conflitto sociale che è esploso in queste settimane: la disoccupazione toccava il 14% nel 2008, ma tra i giovani sotto i trent’anni era tripla rispetto agli adulti, e riguarda grandi masse laureati, in spregio alla vantata importanza del diploma tra le famiglie e nei messaggi pubblici nazionali. Secondo i dati raccolti da Le Monde, il 37% dei laureati del 2004 non aveva ancora un lavoro tre anni e mezzo dopo la laurea.

La frustrazione per questa situazione è traboccata in queste settimane da un paese sempre attento a non guastare la sua immagine internazionale serena e accogliente per i turisti. Ahmed Nejib Chebbi, storico leader del partito dell’opposizione Democratico Progressista, ha chiesto al governo di interrompere subito le repressioni violente nei confronti delle manifestazioni. Il mese scorso alcuni documenti dell’ambasciata USA pubblicati da Wikileaks avevano parlato della Tunisia in questi termini:

Malgrado i progressi economici e sociali, il tasso di libertà politiche è scarso. La Tunisia è uno stato di polizia, con poca libertà di espressione o associazione, e seri problemi di diritti umani (…). Il problema è chiaro: la Tunisia è stata governata dallo stesso presidente per 22 anni. Non ha successori. E mentre Ben Ali merita gli sia riconosciuto di aver mantenuto le politiche progressiste del presidente Bourghiba, lui e il suo regime hanno perso il consenso del popolo tunisino. Non tollerano consigli o critiche, né dall’interno né dall’estero. Si affidano sempre di più alla polizia per controllare e mantenere il potere. E la corruzione negli ambienti del potere sta crescendo: anche i cittadini ne sono chiaramente consapevoli, e crescono le proteste (…) Nel frattempo cresce la rabbia per l’alto tasso di disoccupazione e le disuguaglianze regionali. Di conseguenza, stanno crescendo i rischi per la stabilità del regime.