A che punto sono le grandi inchieste

Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera racconta lo stato dei processi in corso, da Mokbel alla sanità in Puglia

Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera fa il punto sui processi in corso.

Oltre 500 milioni di euro per decine di lavori assegnati con la procedura di urgenza prevista per i Grandi Eventi. L’inchiesta di Perugia entra nella fase finale con l’esame delle posizioni degli indagati. E intreccia nuovi accertamenti disposti a Firenze sugli appalti concessi in Toscana. Hanno tempi e scadenze diverse le istruttorie avviate nell’ultimo anno che riguardano i rapporti tra pubblico e privato coinvolgendo spesso politici di livello nazionale. Ma in molti casi l’impianto ha già retto al primo vaglio dei giudici, consentendo ai pubblici ministeri di proseguire le verifiche. Proprio come accaduto per l’indagine sulla «combriccola» messa insieme dal faccendiere Flavio Carboni e dal suo amico Pasquale Lombardi, capaci secondo l’accusa – riconfermata ieri dal tribunale del Riesame di Roma – di orientare nomine e decisioni. Oppure come sta accadendo per i controlli sulle «commesse» gestite da Finmeccanica con la decisione di alcuni protagonisti di collaborare con i magistrati o quantomeno fornire indicazioni utili alla ricostruzione dei legami tra aziende diverse, unite dall’obiettivo comune di spartirsi gli affari.

Il gruppo di Mokbel
Il processo è cominciato il 2 novembre. Alla sbarra ci sono Gennaro Mokbel un passato neofascista e un presente come anello di congiunzione tra il potere criminale della ‘ndrangheta e quello imprenditoriale della telefonia, accusato di aver riciclato soldi sporchi anche grazie al traffico di diamanti. Con lui, il fondatore di Fastweb Silvio Scaglia, l’ex consigliere di amministrazione Mario Rossetti e gli ex dirigenti Giuseppe Crudele e Bruno Zito. E, per Telecom Italia Sparkle, l’ex amministratore delegato Stefano Mazzitelli, gli ex manager Massimo Comito e Antonio Catanzariti. Niente dibattimento per l’ex senatore pdl Nicola Di Girolamo, che dopo aver confessato il proprio ruolo nell’organizzazione ha scelto di patteggiare una pena a cinque anni di carcere con l’impegno a restituire quattro milioni e 700 mila euro. Soldi che erano stati depositati in conti correnti sequestrati in Svizzera, a Hong Kong e a Singapore.

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