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  • Domenica 31 ottobre 2010

La guerra all’oppio di Stati Uniti e Russia

La Russia conferma il suo impegno contro la droga in Afghanistan a fianco degli Stati Uniti

di Elena Favilli

Ieri gli Stati Uniti hanno annunciato il completamento di una importante operazione antidroga in Afghanistan con l’aiuto di agenti russi. Il presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai ha protestato con la NATO per le modalità con cui è stata gestita l’iniziativa e ha chiesto l’apertura di una indagine su quanto accaduto: in Afghanistan il ricordo del doloroso decennio della permanenza sovietica negli anni ottanta è ancora molto vivo e la possibilità che agenti russi siano coinvolti in operazioni militari all’interno del territorio afghano all’insaputa del governo non è particolarmente gradita.

Inizialmente il responsabile dell’antiterrorismo afgano, Baz Mohammad Amadi, aveva escluso che i russi avessero partecipato attivamente nelle operazioni militari per debellare la rete che produceva l’eroina nella zona di Nangarhar, sostenendo che si sarebbero limitati a fare da semplici osservatori. Ma ieri il direttore del programma antidroga russo, Viktor Ivanov, ha invece confermato il contributo decisivo dato dai suoi agenti all’operazione: «Stiamo lavorando insieme, gli Stati Uniti sono riusciti a confiscare la droga e scoprire i laboratori in cui veniva prodotta grazie alle informazioni della nostra intelligence. Quattro agenti dell’antidroga russa hanno partecipato all’operazione in territorio afghano a fianco degli Stati Uniti». L’intervento ha portato alla confisca di stupefacenti per circa 56 milioni di dollari e alla scoperta di quattro laboratori dove veniva prodotta direttamente la droga.

La collaborazione tra Stati Uniti e Russia segna un importante passo avanti nella lotta internazionale contro la droga. Le autorità russe hanno lamentato per anni la scarsa efficacia delle operazioni messe in campo dalla NATO per contrastare la produzione di stupefacenti in Afghanistan: la Russia ha circa due milioni di tossicodipendenti che consumano circa il 21 percento della produzione totale di droga. Da tempo Ivanov sostiene che l’unica soluzione realmente efficace sia quella di distruggere completamente le coltivazioni di oppio in Afghanistan. Ma l’anno scorso Richard C. Holbrooke, rappresentante speciale per gli Stati Uniti in Afghanistan, ha ammesso che il tentativo di sradicare l’oppio dall’Afghanistan era stato un totale fallimento: alienati e lasciati nell’indigenza, i contadini a cui erano state tolte le coltivazioni di oppio si sono gettati tra le braccia dei talebani. Per questo gli Stati Uniti stanno cercando di sviluppare un programma alternativo che punti prima a sviluppare l’economia del pase, in modo che i contadini possano avere altre fonti di guadagno.

Il problema è che lo sviluppo economico dell’Afghanistan non avverrà in tempi brevi e che, anche quando si dovesse verificare, l’incentivo economico a continuare la produzione di oppio rimarrà comunque difficile da sradicare: secondo un recente rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite lo stesso ettaro di terreno produce un ricavo lordo di 4.900 dollari se coltivato a oppio, di 770 dollari se coltivato a grano. Ivanov attribuisce l’esplosione dei traffici di droga degli ultimi anni alla guerra in Afghanistan. L’Afghanistan è sempre stato un paese produttore di oppio, ma soltanto a partire dall’inizio della guerra nel 2001 la produzione sarebbe cresciuta sui numeri che conosciamo oggi: nel 2002 l’Afghanistan produceva circa tremila tonnellate di oppio all’anno, nel 2008 era arrivato a ottomila prima di stabilizzarsi intorno ai settemila dell’ultimo anno.

I papaveri da oppio sono coltivati soprattutto nelle province di Helmand e Kandahar. Secondo le Nazioni Unite, l’Afghanistan produce quasi la totalità dell’oppio che ogni anno viene immesso illegalmente nel mercato. Si stima che la popolazione afghana nell’insieme consumi oltre settanta tonnellate di eroina all’anno. Quella che viene venduta all’esterno passa attraverso i confini dei paesi dell’Asia Centrale e raggiunge la Russia, la cui politica sulle droghe è considerata una delle più fallimentari fra quelle dei paesi membri delle Nazioni Unite.

La Russia continua infatti a rifiutare il metadone come terapia sostitutiva degli oppioidi nonostante abbia più di due milioni di persone dipendenti da sostanze da iniezione. E continua a opporsi al finanziamento dei programmi di scambio di aghi e siringhe adottati ormai a livello internazionale, nonostante oltre l’80% dei nuovi casi di AIDS che si verificano ogni anno siano causati da pratiche di iniezione non sicure. Negli ultimi dieci anni in Russia c’è stato un aumento del 2350% dei casi di HIV: dal 40.000 del 1997 ai 940.000 del 2007. Per questo motivo lo scorso luglio la nomina del russo Yuri Fedotov come nuovo direttore esecutivo del programma antidroga e anticrimine dell’ONU (UNODC) aveva sollevato molte perplessità.


Gli stessi centri di riabilitazione presenti in Russia sono considerati quasi del tutto inefficaci. Il mese scorso aveva destato molto scalpore la notizia della condanna a trentuno anni di carcere di Yegor Bychkov, un giovane di 23 anni accusato di sequestro di persona ai danni di alcuni tossicodipendenti. Bychkov era cresciuto a Nizhny Tagil, una delle città russe con il tasso più alto di consumatori di oppiacei. Quando aveva diciotto anni aveva iniziato a lavorare per il centro di recupero locale City Without Drugs, gestito da Yevgeny Roizman.

Bychkov, che era cresciuto in mezzo agli spacciatori della città, iniziò ad aiutare la polizia locale, che sulla base delle sue indicazioni riuscì anche a compiere qualche arresto. Poi a un certo punto la polizia decise di arrestarlo per sequestro di persona: Bychkov fu accusato di avere costretto alcuni tossicodipendenti a restare nel centro di recupero contro la loro volontà. Come spiega Yevgeny Roizman l’arresto destò molti sospetti: «la polizia di Nizhny Tagil è famosa per essere estremamente corrotta, qui i trafficanti possono vendere la droga alla luce del sole: vuol dire che c’è qualcuno che glielo consente».

Il centro di disintossicazione era stato aperto all’interno di una chiesa ortodossa e veniva gestito in condizioni limite da persone scarsamente preparate. I tossicodipendenti venivano spesso portati lì direttamente dalle loro famiglie, che non sapevano a chi altri rivolgersi. Prima di lasciarli firmavano un documento in cui accettavano che i loro figli seguissero un rigido programma di preghiera alternata a cicli di semi-digiuno in cui potevano nutrirsi solo di pane, tè, acqua, aglio e cipolla.

Poi, circa un anno e mezzo fa, alcuni dei tossicodipendenti hanno denunciato maltrattamenti e dichiarato che venivano trattenuti nel centro contro la loro volontà. Subito dopo però, come sottolinea l’avvocato di Bychkov, quelle stesse persone che avevano formulato le accuse sono scomparse nel nulla. «Durante le udienze preliminari del processo avevano ammesso che quelle dichiarazioni le avevano fatte perché sotto pressione e sotto l’influenza di droghe», ha spiegato l’avvocato Anastasia Uderevskaya «dissero anche che non avevano nessuna prova di quelle accuse, ma i giudici continuarono a credere a quello che avevano detto all’inizio». Anche il direttore del programma antidroga russo Viktor Ivanov ha detto di credere che Bychkov, per quanto impreparato a gestire un programma di riabilitazione per tossicodipendenti, fosse mosso da buone intenzioni. Secondo il direttore di una fondazione contro la droga e l’alcolismo di Mosca, Sergey Poliatykin, Bychkov sarebbe solo la vittima di qualcosa di molto più grande di lui.

La settimana scorsa Ivanov si è incontrato a Washington con il direttore del programma antidroga americano, Gil Kerlikowske, per definire nuove strategie d’intervento congiunto in Afghanistan. Il programma antidroga delle Nazioni Unite sta infatti cercando di mettere in piedi un network internazionale per la lotta alla droga, a cui la Russia ha già deciso di aderire insieme ad Azerbaijan e ad altre cinque repubbliche dell’Asia Centrale. «Se entrambi diventiamo operativi», ha detto Jean-Luc Lemahie, rappresentante del programma antidroga dell’ONU in Afghanistan, «il nostro network d’intelligence potrebbe diffondersi in tutto l’Afghanistan e nei territori che lo circondano, cambiando profondamente le regole del gioco».