Il gioco dell’oca dell’Expo

Repubblica riassume gli interessi immobiliari intorno ai faticosi passi avanti (e indietro) milanesi

Repubblica fa oggi un bilancio dei progressi dell’Expo milanese, e soprattutto dei suoi passi indietro.

La foto di gruppo è quella del 31 marzo del 2008 e Letizia Moratti la conserva ancora nel suo ufficio a Palazzo Marino. Tutti sorridenti, in quell’istantanea che immortala la vittoria di “squadra” bipartisan di Milano sulla rivale Smirne: il sindaco, Roberto Formigoni, l’allora presidente della Provincia del Pd Filippo Penati, il premier Romano Prodi. Un’era geologica fa. Perché da allora sono passati 927 giorni. Il “grande evento” del 2015 aspetta ancora di partire e dopo mesi di scontri e impasse, soltanto ieri è stato sciolto quello che avrebbe dovuto essere il primo dei nodi: la disponibilità dei terreni (privati) su cui sorgeranno i padiglioni di Expo. 
Un accordo in extremis raggiunto a cinque giorni dall’esame  –  martedì 19  –  di fronte al Bureau International di Parigi, che aveva dettato un ultimatum in vista della registrazione ufficiale. Ma a cui tutti, a cominciare dai protagonisti del centrodestra, sono arrivati divisi.
La strada è segnata: i proprietari di quei terreni, Fondazione Fiera e gruppo Cabassi, hanno risposto positivamente alla richiesta della Moratti che, per presentarsi con qualcosa in mano a Parigi aveva chiesto “l’immediata e incondizionata disponibilità delle aree”. “Un accordo un po’ sofferto, ma sulla scelta più idonea  –  ha commentato il presidente di Fondazione Fiera Gianpiero Cantoni  –  Non siamo né speculatori né interessati a operare se non in grandissima trasparenza”.

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