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  • Sabato 2 ottobre 2010

Da dove riparte l’Ecuador

A pochi giorni dalle proteste e dall'aggressione a Correa, il punto della situazione dei corrispondenti di Time

Supporters of Ecuador's President Rafael Correa protest against rebellious police outside the hospital where Ecuador's President Rafael Correa is located in Quito, Ecuador, Thursday Sept. 30, 2010. The government declared a state of siege Thursday after rebellious police, angered by a law that cuts their benefits, shut down airports and blocked highways in a nationwide strike. (AP Photo/Patricio Realpe)
Supporters of Ecuador's President Rafael Correa protest against rebellious police outside the hospital where Ecuador's President Rafael Correa is located in Quito, Ecuador, Thursday Sept. 30, 2010. The government declared a state of siege Thursday after rebellious police, angered by a law that cuts their benefits, shut down airports and blocked highways in a nationwide strike. (AP Photo/Patricio Realpe)

Pochi giorni fa la protesta dei poliziotti in Ecuador si è trasformata in qualcosa di molto simile a un colpo di stato, con le forze dell’ordine che hanno preso il controllo di un aeroporto e sfidato apertamente il presidente Correa, sequestrandolo poi nell’ospedale in cui si era rifugiato. Tim Padgett e Stephan Küffner, corrispondenti di Time da Quito, fanno oggi un punto della situazione.

C’è una buona notizia, intanto: il casino di questi giorni non si è trasformato in colpo di stato. Era una protesta, rumorosa, eversiva e violenta, ma non c’era dietro un progetto di rovesciamento del governo di Correa. Le buone notizie però finiscono qui. L’Ecuador ha avuto sette governi diversi negli ultimi tredici anni, e questa non è che l’ultima crisi politica in un paese dalle istituzioni debolissime.

Secondo Time, l’inizio delle tensioni interne al paese va ricercato nella decisione del 2008 di Correa riguardo il debito straniero dell’Ecuador, pari a dieci miliardi di dollari. Il presidente dichiarò che di non riconoscere un terzo di quella cifra, al cui pagamento si erano impegnati in modo “immorale” e “illegale” i precedenti governi dell’Ecuador. La mossa ha spaventato gli investitori stranieri, ha reso più complicata la situazione del paese, che sta ancora cercando di valorizzare adeguatamente le sue risorse naturali, e ha spinto Correa a introdurre alcune misure di austerità.

Ci sono stati parecchi malumori, alcuni anche all’interno dello stesso partito di Correa, ma nessuno si è lamentato con una furia paragonabile a quella dei poliziotti. Quando Correa è andato a Quito a parlare con i manifestanti e cercare di spiegarsi, questi gli hanno lanciato dei lacrimogeni. È lì che Correa si è slacciato la cravatta e ha spinto in fuori il petto urlando “Se volete uccidermi, fatelo!”. Poco dopo i suoi collaboratori lo hanno portato nell’ospedale dove poco dopo è stato assediato dai manifestanti.

Fuori dall’Ecuador, tutti i leader del continente americano da Buenos Aires a Washington hanno tirato un respiro di sollievo quando hanno appreso che non avrebbero dovuto cercare di gestire l’ennesimo colpo di stato in Sudamerica. Nonostante Correa sia un noto critico degli Stati Uniti, il segretario di stato americano Hillary Clinton gli ha offerto “pieno supporto”, a lui e alle “istituzioni democratiche dell’Ecuador”.

Sebbene Correa sia ancora saldamente presidente dell’Ecuador, non tutti sono convinti che dietro le manifestazioni dei poliziotti non ci fosse l’intenzione di mettere alla prova la sua popolarità e la sua tenuta, e Correa stesso ha avanzato l’ipotesi che i suoi avversari politici potessero avere in qualche modo organizzato le proteste. Non è ancora chiaro però quale sarà la sua reazione nel lungo periodo.

Per adesso ha ordinato lo stato d’emergenza fino a martedì e ha imposto l’oscuramento a radio e televisioni: un promemoria – sostengono i suoi critici – della sua tendenza a fare pressioni o addirittura costringere alla chiusura i mezzi di informazione. Poi ha minacciato di sciogliere il Congresso, e può farlo in ragione dei poteri che gli ha dato la nuova Costituzione, approvata nel 2008.

L’ambasciatore degli Stati Uniti in Ecuador, Luis Gallegos, ha detto a Time che Correa sta cercando di fare dell’Ecuador uno stato “più istituzionale”. Ha approvato leggi importanti contro la povertà e per migliorare sanità e istruzione, e ha guadagnato consensi e popolarità sfruttando toni populisti simili a quelli della sinistra bolivariana di questi anni. Thomas Trebat, direttore dell’Istituto di studi latinoamericani alla Columbia, è convinto che Correa rappresenti una forza modernizzatrice per l’Ecuador ma teme che possa approfittare delle proteste di questi giorni per sbarazzarsi in modo poco istituzionale di alcuni oppositori.

Dovesse succedere, la principale conseguenza sarebbe esacerbare la polarizzazione politica dell’Ecuador, che è l’ultima cosa di cui il paese avrebbe bisogno in questo momento. In una nazione il cui passato è stato caratterizzato dalla grande instabilità, Correa dovrà semplicemente riallacciarsi la cravatta e cercare di rimettere tutto insieme.