Unicredit, Alessandro Profumo, Gheddafi, “caso Libia”. La questione è intricata, è sui giornali da settimane ed è intrecciata tra l’economia, la politica estera e la cronaca locale. Coinvolge il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, e Muammar Gheddafi; il primo gruppo bancario europeo e il governo italiano. E per questo è anche diventata un argomento di polemica politica, con alcuni parlamentari – soprattutto leghisti e dipietristi, per ragioni diverse – che chiedono al ministro Frattini di dare spiegazioni e magari intervenire direttamente nella faccenda.
Di cosa parliamo, intanto
Breve premessa a uso di chi non ha idea di cosa si stia parlando. Unicredit è uno dei maggiori istituti di credito europei e mondiali. Diventa quello che è adesso a seguito di una serie di fusioni e acquisizioni, cominciate negli anni Novanta in seguito al processo di privatizzazioni che ha interessato il nostro Paese (il Credito italiano, originariamente una delle tre BIN, banche di interesse nazionale insieme alla Banca commerciale e al Banco di Roma, viene privatizzato nel 1993 dall’IRI presieduto per la seconda volta da Romano Prodi). Prima il Credito Italiano e Unicredito (a loro volta formate da altre banche e casse di risparmio locali) si uniscono in Unicredito Italiano. Il gruppo cambia marchio, assumendo la denominazione di Unicredit, e dopo una serie di ulteriori acquisizioni minori nel 2002 lancia un’offerta pubblica di acquisto sulla banca tedesca HypoVereinsbank, HVB, e tutte le sue banche controllate. Il 17 novembre 2005 Unicredit annuncia di aver completato l’acquisto: il tedesco Dieter Rampl, già amministratore delegato di HVB, diventa presidente di Unicredit. Nel 2007 Unicredit e Capitalia, guidata da Cesare Geronzi, si fondono, dando vita quindi al primo gruppo bancario europeo. Regista di tutte queste operazioni è l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo.
Com’è composta Unicredit
La composizione azionaria di Unicredit vede un 5 per cento delle azioni in mano a Mediobanca, un 4,99 al fondo Aabar di Abu Dhabi, un 4,8 per cento alla Fondazione CariVerona, il 4,6 per cento alla Banca centrale libica, il 3,7 per cento alla Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino), il 3,1 alla CariMonte Holding, il 2,2 alla Allianz, il 2 a Barclays. Una norma dello statuto di Unicredit stabilisce che nessun socio di Unicredit può contare in assemblea per più del 5 per cento. Il caso Libia nasce proprio in relazione alla presunta violazione di questo limite.
La scalata della Libia
Nei primi giorni di agosto, il fondo sovrano libico LIA (Lybian investment Authority) ha acquistato il 2,07 per cento del capitale di Unicredit. La quota è relativamente modesta, ma aggiunta al 4,99 per cento detenuto dalla Banca centrale libica diventa un importante 7 per cento direttamente o indirettamente facente capo alla stessa persona, cioè Gheddafi. Con il rastrellamento di questo due per cento, crescono le voci che vogliono il fondo LIA prossimo ad acquistare altre azioni e arrivare almeno al 4 per cento. In questo modo la Libia diventa il primo azionista di Unicredit e potrebbe aggirare il limite statutario, facendo valere di più – il doppio, precisamente – la propria voce nell’assemblea dei soci. Qui però cominciano le grane.
Chi doveva sapere cosa
Gli acquisti della Libia vengono fatti attraverso la stessa banca d’investimento di Unicredit, ma il consiglio di amministrazione di Unicredit non ne è informato. Il presidente di Unicredit Dieter Rampl critica pubblicamente l’amministratore delegato Alessandro Profumo e chiede di vederci più chiaro. Nemmeno la Banca d’Italia è stata informata dell’operazione. A rendere ulteriormente intricata la vicenda il fatto che il presidente della Banca centrale libica, Fahrat Bengdara, è anche vicepresidente di Unicredit e consigliere del fondo sovrano libico LIA.
Arrivano gli arabi
Quelli di Rampl non sono gli unici rilievi mossi ad Alessandro Profumo. Unicredit non può definirsi più da tempo una “banca italiana”, ma la partecipazione al suo capitale di istituti e casse di risparmio italiane fa sì che la Lega agiti lo spauracchio dell’invasione da parte di Gheddafi e dei libici (cioè dei musulmani). Il più rumoroso tra i leghisti è il sindaco di Verona Flavio Tosi, in virtù del ruolo della Fondazione CariVerona in Unicredit. Secondo alcuni osservatori pesa anche il nervosismo dei tedeschi davanti all’avanzata di Gheddafi: sia per i rapporti molto stretti tra il dittatore libico e il governo italiano, sia per via delle recenti polemiche che hanno coinvolto la politica tedesca riguardo l’immigrazione e il ruolo della comunità islamica nel tessuto sociale della Germania. Poi ci sono le critiche che arrivano dall’Italia dei Valori, che accusa Alessandro Profumo di fare affari con Gheddafi aprendogli la strada verso l’Italia – parliamo di un grande alleato dell’avversario numero uno dell’IdV, Silvio Berlusconi – ed estende l’accusa al ministro degli esteri Franco Frattini, reo di complicità negli “affari torbidi della Libia”. Profumo dice di non aver cercato lui la Libia, i cui fondi hanno deciso in piena autonomia di aumentare le loro quote.