In Italia si è tornati a parlare di legge sulle unioni civili e diritti alle coppie di fatto. Lo si è fatto in un modo piuttosto italiano – cioè in una serie di inutili e pretestuose polemiche agostane – ma è già qualcosa, visto che negli ultimi due anni il tema era stato praticamente cancellato dall’agenda politica di questo paese.
Pochi giorni fa il deputato Benedetto Della Vedova, finiano ed ex radicale, aveva detto che il neonato gruppo di Futuro e libertà avrebbe provato a rilanciare in parlamento una proposta di legge sulle coppie di fatto. «È assolutamente grottesco», ha detto Della Vedova, «che l’Italia resti l’ultimo paese d’Europa che non ha una legge civile sulle coppie di fatto anche gay». Sono seguite le scontate e rituali scomuniche da parte di Gasparri, Giovanardi e Binetti, ma Della Vedova ha promesso un’iniziativa parlamentare al ritorno delle vacanze e quindi staremo a vedere. Ne approfittiamo intanto per un riepilogo generale delle soluzioni discusse in Italia fino a questo momento per affrontare e risolvere la questione.
Italia, Romania, Grecia e Bulgaria sono gli unici stati europei a non prevedere alcuna forma di diritto per le coppie di fatto, che per le leggi dello stato praticamente non esistono. In Italia, la prima proposta di legge sul tema fu presentata nel 1986: ventiquattro anni dopo la situazione non si è spostata di un millimetro.
Matrimonio civile
In realtà, nessuna forza politica in Italia chiede ufficialmente l’apertura agli omosessuali dell’istituzione del matrimonio civile, nonostante diversi paesi si siano mossi in questa direzione e questa sia secondo molti la soluzione più semplice e logica. Lo chiedono però alcuni singoli esponenti politici – il vicepresidente del PD Ivan Scalfarotto, la deputata Paola Concia, l’esponente dell’IdV Franco Grillini – e da qualche tempo anche l’Arcigay e le associazioni che difendono i diritti degli omosessuali.
In Italia si è parlato di matrimonio gay in relazione alla sua eventuale compatibilità con la Costituzione: alcuni sostengono che già oggi la Carta non escluda il matrimonio omosessuale, facendo riferimento genericamente ai “coniugi”; altri invece fanno notare come diversi articoli del codice civile parlino esplicitamente di “marito” e “moglie”. Pochi mesi fa, investita dal tribunale di Venezia e da quello di Ferrara, dalla corte d’appello di Firenze e da quella di Trento, la Corte Costituzionale ha stabilito che la questione non rientra nelle sue competenze bensì in quelle del parlamento (e che quindi la Costituzione di per sé non rappresenta un ostacolo all’allargamento del matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso).
PACS
L’acronimo è stato coniato in Francia e sta per Patti civili di solidarietà, istituzione distinta da quella del matrimonio. I PACS si stipulano attraverso un contratto, sottoscritto da due persone maggiorenni – indipendentemente dal loro sesso- al fine di organizzare la loro vita in comune. Il contratto fornisce ai sottoscrittori tutele alla loro convivenza – regola i contratti di affitto, contempla specifiche misure fiscali – e vari altri diritti basilari: assistere il proprio partner in ospedale, avere voce in capitolo nelle decisioni riguardo la sua salute, lasciare in eredità al partner il proprio patrimonio, ottenere l’avvicinamento se un partner è extracomunitario e così via. Secondo il modello francese, i privilegi fiscali cominciano tre anni dopo la stipulazione del contratto, che prevede anche diversi doveri e obblighi: l’impegno a condurre una vita in comune, l’aiuto reciproco materiale, la responsabilità comune per i debiti contratti dalla firma del PACS.
In Italia si è parlato di PACS soprattutto nel 2005, quando Romano Prodi li propose ufficialmente nell’ambito della sua candidatura a presidente del consiglio. In realtà poi già in fase di scrittura del programma dell’Unione la proposta venne molto diluita e la dizione PACS venne abbandonata.