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  • Domenica 8 agosto 2010

Bashir minaccia di espellere l’ONU

Il presidente sudanese esige la consegna da parte dell'Unamid di sei ribelli accusati dei disordini di fine luglio

di Giovanni Fontana

Il presidente sudanese Omar al-Bashir ha lanciato un avvertimento molto chiaro alle varie agenzie delle ONU presenti in Sudan: chiunque non collabori con il governo sarà cacciato dal Paese. Bashir accusa l’Unamid, la missione delle Nazioni Unite in Darfur, di non consegnare sei uomini che sarebbero responsabili degli incidenti avvenuti nel campo profughi di Kalma.

Il campo, che ospita più di 100 mila sfollati, è stato il cuore degli scontri del mese scorso che avevano causato la morte di undici persone. Più recentemente questa settimana, l’Unamid aveva accusato il governo di Khartum di bloccare l’accesso degli aiuti umanitarî al campo di Kalma. Oggi Ibrahim Gambari, capo dell’Unamid, ha risposto alle minacce in un’intervista su Al Jazeera, garantendo che nessuno sarà consegnato al governo senza che siano prima presentate le prove dei crimini commessi.

Il Darfur, regione meridionale del Sudan, è stato teatro dell’ultimo genocidio della storia recente: nel febbraio del 2003 alcuni gruppi di ribelli presero le armi contro il governo accusato di favorire le popolazioni di etnia araba, stanziate nel nord del Paese, a quelle di origine africana presenti nel sud. La risposta del governo, attraverso il sostegno alle milizie islamiche Janjaweed, fu sanguinosa e si tradusse in vere e proprie operazioni di pulizia etnica ai danni delle popolazioni di discendenza africana che portarono alla morte di 300 mila persone, e allo sfollamento di quasi tre milioni.

Nel febbraio di quest’anno è stato firmato un cessate il fuoco, nel tentativo di arrivare a dei colloqui di pace che dovrebbero portare alla concessione di una sostanziale autonomia alla regione del Sudan del sud. I ribelli del Justice and Equality Movement hanno però dichiarato di aver interrotto ogni trattativa a causa dei raid e bombardamenti che il governo di Karthum avrebbe continuato a operare in violazione dell’accordo.

La definizione di genocidio in riferimento alle vicende del Darfur è sempre stata discussa, come spesso accade nelle fasi immediatamente successive a un eccidio – ricordiamo il celebre caso della portavoce del Dipartimento di Stato americano a cui, durante il massacro in Rwanda, fu domandato «quanti ‘atti di genocidio’ sono necessarî per commettere un genocidio?» per la sua ostinazione a parlare, appunto, soltanto di “atti di genocidio” e non di un genocidio vero e proprio.

Nel caso del Darfur la questione è stata risolta appena un mese fa dalla Corte Penale Internazionale quando il mandato d’arresto per Bashir – il primo capo di Stato a essere mai stato incriminato dal Tribunale – è stato emendato affiancando l’accusa di genocidio a quelle di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, già emesse lo scorso anno. Bashir continua a negare le imputazioni a suo carico e sarà difficile che il mandato d’arresto sia reso attuativo dato il rifiuto del governo sudanese, guidato da Bashir, di consegnare l’imputato.