Qualcosa c’è, nell’inchiesta del Giornale su Gianfranco Fini e la casa di Montecarlo, o si tratta dell’esecuzione del “trattamento Boffo” auspicato qualche giorno fa da un parlamentare del PdL? Bisogna scremare tra strumentalizzazioni e storie che non c’entrano nulla, muoversi sospettosamente tra i report giornalistici, ma qualcosa c’è. Per capirlo bisogna ripercorrere l’intera storia dall’inizio: e il vero inizio di questa storia si colloca intorno al 1400.
La dinastia Colleoni
Ok, esageriamo un po’. Però effettivamente comincia tutto da Bartolomeo Colleoni, condottiero italiano del XV secolo che nel corso della sua vita collezionò un gran numero di vittorie in battaglia e un numero altrettanto grande di beni immobili, terreni, case, ville, castelli. Un patrimonio immobiliare sterminato che è stato tramandato di generazione in generazione dalla famiglia Colleoni, fino ad arrivare nel corso del novecento a Guardino Colleoni, conte e gerarca fascista. Alla sua morte erediterà tutto sua figlia, la contessa Anna Maria Colleoni.
Da Monterotondo a Montecarlo
La contessa Anna Maria Colleoni vive a Monterotondo, un comune di 40mila abitanti della provincia di Roma, a poco più di venti chilometri dalla Capitale. Monterotondo è un comune rosso: più volte decorato al valor militare per gli sforzi dei suoi cittadini durante la Resistenza, è stato amministrato ininterrottamente da giunte di sinistra. La contessa Colleoni è figlia di un gerarca fascista, ed è simpatizzante del Movimento sociale prima e di Alleanza Nazionale poi: le sue preferenze politiche incontrano quindi una certa frustrazione, in una cittadina in cui il Partito Comunista e i partiti che gli succederanno vincono a man bassa a ogni tornata elettorale. Però la Colleoni si impegna e si spende, e non fa mancare il suo sostegno alla sezione locale del MSI, poi AN. Nel 1995 viene invitata a una cena indetta per festeggiare l’elezione di Roberto Buonasorte, primo consigliere comunale di AN della storia di Monterotondo. Alla cena partecipa anche Fini, e a un certo punto la contessa gli dice che non ha eredi diretti, non essendosi mai sposata, e che alla sua morte lascerà il suo intero patrimonio ad Alleanza Nazionale. «Da camerata a camerata», gli dice. La contessa muore il 12 giugno del 1999, a 65 anni.
Boulevard Princesse Charlotte, 14
Il testamento dice per l’appunto che l’intero patrimonio della contessa deve essere ceduto ad Alleanza nazionale. Ne fanno parte case, magazzini, box auto, immobili vari, titoli obbligazionari, conti correnti: di tutto. L’erario valuterà il tutto oltre gli otto miliardi di lire, tenendosi molto basso. Manca al conteggio una casa a Montecarlo acquistata dalla contessa negli anni Sessanta, ma solo perché la contessa non registrò la proprietà in Italia. Morta la contessa, scrive il Giornale, qualcuno fa sapere ad AN che il patrimonio ha “una ciliegina sulla torta”. I tesorieri di AN fanno le verifiche del caso, chiedono conferma dell’esistenza della casa e la aggiungono a quanto ereditato. La casa si trova nel principato di Monaco, boulevard Princesse Charlotte 14. Chi si occupò del passaggio di proprietà dice che si tratta di un appartamento di 45-50 metri quadri, senza vista sul mare. Però aggiunge che è composta da un salone, due camere, cucina, bagno e balcone: tutto in cinquanta metri quadri? Non è chiaro.
«Rischiavi di prenderti la setticemia»
Mentre molti immobili ereditati dalla Colleoni vengono immediatamente venduti e monetizzati, la casa di Montecarlo rimane lì, chiusa e disabitata, dal 1999 in poi. Donato Lamorte, ex capo della segreteria di Fini, dice di averla vista nel 2008 e di averla trovata in condizioni «terribili».
«In uno stato deplorevole, fatiscente. Cataste, vetri rotti, spazzolini da denti dentro scatole di Simmenthal. Se toccavi qualcosa rischiavi di prenderti la setticemia e morire»
La cessione
Nonostante questo, scrive il Giornale nelle sue inchieste, negli anni diverse persone si fecero avanti per acquistare la casa. Nel 2005 una persona offrì un milione e mezzo di euro. Le agenzie immobiliari del principato confermano che per un immobile del genere il prezzo va dai quindici ai venticinque mila euro al metro quadro: almeno un milione di euro, insomma. Nel 2008 Alleanza Nazionale vende finalmente la casa a una società che si chiama Printemps Ltd, con sede ai Caraibi. E per la somma di 300 mila euro. Il primo punto anomalo della vicenda è questo: perché AN ha rifiutato offerte superiori al milione di euro per poi vendere a 300 mila? I finiani sostengono – ultimo Enzo Raisi, sul Secolo di oggi – che quella casa versava in condizioni talmente fatiscenti che non si poteva fare altrimenti, perché «aveva un costo di restauro enorme», e in effetti lo stesso Libero parla di una perizia, fatta fare da AN dopo l’acquisizione dell’immobile, che ne stimava il valore in circa 250 mila euro. Il Giornale sostiene però di aver parlato direttamente con persone che negli anni hanno formalizzato le loro offerte alla sede nazionale di AN.
Scatole cinesi
Il secondo punto anomalo è l’identità dei compratori: non è chiaro chi stia dietro la società Printemps, che ha titolari olandesi di cui sia poco. Quello che si sa è che poco tempo dopo Printemps vende la casa a un’altra società offshore, per una cifra di poco superiore: solo che la società compratrice, la Timara Ltd, è stata creata all’uopo e i suoi titolari sono gli stessi della società venditrice. Il Giornale non esclude ci siano stati altri passaggi, sempre tra società offshore dall’origine poco chiara, e sostiene che lo scopo sia stato «far scomparire l’immobile»: i giornalisti che seguono l’inchiesta hanno cercato di risalire ai referenti delle società offshore, senza arrivare a molto. In sostanza, sostengono che si sia voluto tenere la casa fuori dal patrimonio di AN senza toglierla dal controllo del suo presidente Gianfranco Fini. Oppure che si sia voluto vendere la casa a un prezzo favorevole al cognato di Fini, che oggi vive proprio in quella casa, in affitto. Ma ci arriviamo. La domanda intanto è: com’è stata scelta la società a cui vendere la casa?