La volta che Microsoft tra utenti e inserzionisti, scelse i secondi

Internet Explorer 8 doveva offrire maggiori protezioni per la privacy degli utenti, ma il progetto fu in parte affossato

Il Wall Street Journal dedica la seconda parte della sua inchiesta sulla protezione dei dati personali online alla storia di Internet Explorer 8, il browser di Microsoft, in cui l’attenzione alla privacy degli utenti è stata messa in secondo piano. Nel primo articolo il Wall Street Journal aveva mostrato la quantità di cookies e file che i siti che visitiamo disseminano nei nostri computer. I siti web creano sui computer questi file, che vengono poi utilizzati per tenere traccia dei nostri spostamenti in rete e conoscere i nostri gusti, così da poter offrire per esempio degli annunci pubblicitari calibrati sulle nostre preferenze. I programmi per navigare online (i browser) possono ridurre al minimo le nostre tracce e consentirci di scegliere quali informazioni rendere disponibili, ma alcuni produttori di software come Microsoft preferiscono nascondere le opzioni per la privacy per non dispiacere agli inserzionisti pubblicitari.

Questa possibilità, spiega il Journal, fece nascere un confronto molto acceso tra i responsabili del progetto per il nuovo browser: da un lato c’erano alcuni sviluppatori convinti che un nuovo sistema contro i cookie potesse contribuire a migliorare la tutela della riservatezza degli utenti, mentre dall’altro c’erano numerosi dirigenti dell’azienda preoccupati di attirare le ire degli inserzionisti pubblicitari. Alla fine la spuntarono i dirigenti di Microsoft e il nuovo Internet Explorer fu studiato per rendere solamente opzionale il sistema per limitare l’utilizzo dei cookie e delle altre soluzioni per tracciare le attività di chi naviga online.

Originariamente, gli sviluppatori di Internet Explorer 8 avevano pensato a un sistema più raffinato per garantire la privacy degli utenti. Il programma era in grado di analizzare i contenuti caricati in una pagina web (immagini, video, testo, link…) e di riconoscere la provenienza di materiali da indirizzi web diversi da quello ufficiale della pagina visualizzata, spiega il Wall Street Journal:

Alcuni dei contenuti prodotti da altri potrebbero essere cose innocue come il codice di YouTube, che presumibilmente gli utenti non vogliono bloccare. Altri contenuti potrebbero essere sistemi per tracciare le attività online come i “beacon”, piccole porzioni di codice inserite nella pagina che possono monitorare i clic dei visitatori, o anche registrare le loro digitazioni. Alcuni utenti potrebbero voler bloccare questi sistemi automaticamente.

Per Internet Explorer era stato proposto un sistema per bloccare i contenuti sospetti che risultassero presenti su più di dieci siti web diversi, e dunque probabilmente sistemi per tracciare le attività degli utenti. Una simile soluzione avrebbe dato maggiore sicurezza agli utenti, rispetto al solo blocco dei cookie. Chi progettò Internet Explorer 8 propose di rendere il sistema predefinito, garantendo comunque agli utenti la possibilità di disattivarlo.

Steve Ballmer, il CEO di Microsoft, invitò il responsabile del settore ricerca e strategia Craig Mundie e il consulente Brad Smith a occuparsi delle nuove proposte e i due si consultarono con alcune delle principali associazioni di inserzionisti pubblicitari statunitensi. Il timore degli inserzionisti era che il nuovo sistema potesse di fatto rendere invisibili alcuni tipi di pubblicità sulle pagine web visualizzate con Internet Explorer. Inoltre, a loro modo di vedere, la soluzione proposta da Microsoft metteva sullo stesso piano la violazione della privacy con la distribuzione degli annunci pubblicitari sul Web.

Quando Microsoft rilasciò il browser nella sua forma finale nel marzo 2009, le funzionalità per la privacy erano molto differenti da quanto era stato prospettato dai progettisti. Internet Explorer richiedeva agli utenti di attivare la funzione per bloccare i siti web che tracciavano le loro attività, chiamata InPrivate Filtering. La funzione non era attivata automaticamente.

La funzione si rivela utile per arginare i siti che tengono traccia delle attività degli utenti, ma deve essere attivata ogni volta che si avvia Internet Explorer. Secondo Microsoft, questa soluzione è la migliore per offrire maggiori garanzie agli utenti e proteggere gli interessi di chi fa pubblicità online.

Secondo Brad Smith il sistema infine adottato fu un compromesso che cercava di coniugare la privacy degli utenti e le esigenze delle centinaia di migliaia di società che fanno pubblicità in Rete. Del resto, la società possiede attraverso le proprie controllate alcuni servizi per le inserzioni pubblicitarie online, dunque avrebbe danneggiato anche se stessa se avesse realizzato un browser poco tollerante nei confronti dei cookie e degli altri sistemi per tracciare la navigazione degli utenti (qualcosa di analogo accade anche con Google, che vende spazi per la pubblicità online e distribuisce anche un proprio browser, Chrome).

La proposta che era circolata per alcune settimane sul nuovo sistema per la privacy poteva rendere Internet Explorer un browser all’avanguardia sul fronte della protezione dei dati personali. Alcune associazioni a tutela della privacy accolsero molto favorevolmente il piano di Microsoft, ma quando il prodotto finale venne rilasciato senza il sistema preimpostato cambiarono opinione, criticando duramente la società accusata di aver infine ceduto allo strapotere degli inserzionisti online.

Al tempo, spiega ancora l’articolo, i dirigenti Microsoft furono anche preoccupati che impostazioni troppo severe sulla privacy scontentassero le associazioni pubblicitarie che Microsoft voleva coinvolgere in una battaglia contro un progetto di intesa tra Yahoo e Google.
“Alla fine gli inserzionisti furono molto contenti”, conclude il Wall Street Journal.