“Lombardi è uno potente”

Il sottosegretario ribalta la tesi dei "quattro pensionati sfigati" e dice che Lombardi è "uno che conta"

Presi come siamo dalle scosse telluriche aventi come oggetto la maggioranza di governo, la stampa sembra avere un po’ perso di vista le inchiesta sulla lobby di Flavio Carboni e sui personaggi vicini al centrodestra che le orbitavano attorno. Oggi se ne ritorna a parlare su Repubblica, approfittando dell’interrogatorio reso da Giacomo Caliendo riguardo i suoi rapporti con Pasquale Lombardi.

Si tratta di due personaggi centrali nella vicenda. Il primo è sottosegretario alla giustizia, oggetto della mozione di sfiducia presentata da PD e IdV e che oggi i finiani dicono di essere pronti a considerare. I verbali lo accusano di aver fatto – insieme a Marcello Dell’Utri – da cinghia di comunicazione tra la ghenga di Carboni e il governo. Il secondo è probabilmente il personaggio più misterioso dell’intera vicenda, quello di cui si sanno meno cose. Quello che sappiamo è che è nato nel 1933, che è geometra ed è stato membro di commissioni tributarie, che ha fatto il sindaco di un piccolo paese della Campania e durante la prima repubblica era organico alla Democrazia Cristiana. Come questa persona sia finita a telefonare a giudici costituzionali, promuovere candidati e influenzare sentenze rimane un mistero.

Caliendo aveva già detto alcune cose riguardo il suo rapporto con Lombardi, dichiarando al Giornale di essere stupito dalla vastità dei contatti di Lombardi emersa a seguito dell’inchiesta.

«Sono rimasto sbalordito nel leggere che Lombardi aveva tessuto una tela così vasta di relazioni e rapporti. Per me era solo il segretario del Centro europeo di studi giuridici di cui io ero stato presidente, prima di dimettermi, doverosamente, anche da quell’incarico»

Stando alla ricostruzione dell’interrogatorio offerta oggi da Repubblica, il sottosegretario Caliendo avrebbe presentato agli inquirenti un quadro molto diverso. Innanzitutto dicendo di essere a conoscenza dell’influenza di Lombardi, definito “uno potente”.

Telefonate, tante, tra “Giacomino” e “Pasqualino”. «Chiamava sempre – ha spiegato Caliendo – ma io non gli davo corda. Lui chiedeva molte cose a cui io non davo seguito. Io non avevo bisogno di lui. E, a dire la verità, lui non aveva bisogno di me: per molti è un interlocutore stimato. È uno che conta». Un’autorevolezza, quella di Lombardi, che forse deriva proprio dalla sua attività. «Non certo da me o dal suo rapporto con me», ha spiegato il sottosegretario indagato per la violazione della legge Anselmi sulle società segrete. Accusa in cui il numero due del ministero della Giustizia non si riconosce: «Non ho mai fatto parte di alcuna associazione», ha detto.

L’altra divergenza riguarda proprio il suo rapporto con Lombardi. Caliendo aveva detto di conoscere Lombardi solo come il segretario del Centro di studi giuridici. Alla procura avrebbe invece raccontato di una frequentazione di lunga data.

«Io e Lombardi ci conosciamo da tantissimi anni, una ventina, direi. Per molto tempo non ci siamo sentiti, poi, più o meno da quando io sono in via Arenula, il nostro rapporto, a lungo quasi inesistente, si è intensificato. Abbiamo iniziato a frequentarci con una certa costanza soprattutto a causa del centro studi Diritti e Libertà in cui lui mi ha fatto entrare».

Nel corso dell’interrogatorio, Caliendo avrebbe poi smentito di aver fatto pressione sui giudici della Corte per il lodo Alfano attraverso Lombardi – «Se avessi voluto lo avrei fatto da me» – e di aver tentato di favorire un’ispezione al tribunale di Milano a seguito dell’esclusione della lista di Formigoni per le elezioni regionali del 2010.

«Non ho fatto nulla di simile». E ai pm che chiedevano conto delle numerose conversazioni sul tema con Lombardi (ad un certo punto, in una delle varie intercettazioni, il 12 marzo scorso, Caliendo perde la pazienza con un Lombardi che insiste per avere notizie dell’ispezione: «L’ho chiesto trenta volte, basta!»), ha chiarito: «La persona a cui mi riferivo non era il ministro, ma qualcuno della segreteria a cui chiedevo se era arrivata la denuncia del Governatore. Atto che ho analizzato ma che non aveva spunti per prevedere un’ispezione che, infatti, non ho predisposto».