Iraq, il prossimo boom economico
Quantità smisurate di risorse e costi irrisori farebbero dell'Iraq la prossima Arabia Saudita, scrive Newsweek
Ci sono le economie che crescono alla grande da anni, come il Brasile e la Cina. Poi ci sono i mercati emergenti, come il Bangladesh e la Nigeria: sono posti in cui converrebbe investire dei soldi, se non fosse che ormai le loro potenzialità sono note e gli investimenti convengono meno. Poi ci sono i mercati di frontiera: nazioni instabili, spesso pericolose, dal futuro incerto. Un po’ come il Brasile e l’India vent’anni fa. È lì che si sposteranno le grandi cifre, è lì che si apriranno nuove opportunità. Secondo Barton Biggs, su Newsweek di questa settimana, uno di questi mercati di frontiera è l’Iraq.
Certo, è pericoloso. Un mio amico ci è stato di recente con altri maniacali investitori di frontiera. Si muovevano con otto soldati in assetto da combattimento su un veicolo blindato, scortati da due pick-up zeppi di mitragliatori, e cambiavano itinerario di frequente a causa del rischio mine. Il mio amico è tornato contentissimo.
La storia dell’Iraq è semplice, scrive Biggs. Trentadue milioni di abitanti al centro della regione bagnata dal Tigri e dall’Eufrate, una capitale che è stata il cuore politico e intellettuale del mondo musulmano fino al tredicesimo secolo. Il paese inizia a riprendersi, dopo la fine del regime e della guerra. Il prodotto interno lordo l’anno scorso è salito del 4,3 per cento, la banca centrale è riuscita a stabilizzare il costo del denaro. La domanda inizia a ravvivarsi, si produce sempre più cemento. E poi c’è il petrolio. Ci sono sicuramente riserve per oltre 115 miliardi di barili di petrolio, e tremila miliardi di metri cubi di gas naturali, e di fatto non si esplora alla ricerca di nuove riserve da dieci anni. Potrebbe esserci molto di più. Qui Biggs smentisce uno dei tanti luoghi comuni sulla guerra in Iraq, cioè quello per cui la guerra avrebbe messo gli Stati Uniti nella posizione migliore per usufruire delle risorse naturali.
Nonostante i cinquemila soldati americani morti durante l’operazione Iraqi Freedom, è la Cina ad avere i contatti migliori per l’esplorazione delle risorse petrolifere e la loro estrazione.
Nel giro di dieci anni, l’Iraq sarà uno dei primi tre esportatori mondiali di gas e petrolio. Le compagnie petrolifere hanno già vinto abbastanza appalti da aumentare la produzione quotidiana di dieci milioni di barili. Quando tutto questo entrerà a regime è ancora incerto: molte infrastrutture devono ancora essere costruite, i problemi organizzativi e politici rimangono. Il se però non è in discussione: non è azzardato dire che l’Iraq potrebbe essere la nuova Arabia Saudita.
In passato, perdere una guerra contro gli Stati Uniti è sempre stato causa di benefici e vantaggi. Possono testimoniarlo Germania e Giappone. Molte altre nazioni in via di sviluppo hanno capito che creare un mercato fertile agli investitori stranieri è la strada più veloce verso il benessere comune. L’Iraq potrebbe essere la prossima.