• Mondo
  • Sabato 8 maggio 2010

Cercare casa a Pechino

La differenza tra hen fangbian e hen mafan, una lavatrice in soggiorno, e altre esperienze

di Matteo Miavaldi

Sono a Pechino da quasi due settimane, e dormo ancora su un divanoletto. Un mio amico, che vive qui da un paio d’anni, mi sta gentilmente ospitando nel soggiorno del suo pingfang, le tipiche casette degli hutong pechinesi.
Il salottino è da condividere col gatto Tianzi, nero e rompicoglioni, col quale in meno di tre giorni ho raggiunto un accordo abbastanza equo: alla terza volta che, nel bel mezzo della notte, salta sul mio divanoletto in cerca di moine, viene immediatamente sbattuto fuori dalla porta. Senza violenza, ma con decisione. Purtroppo, non riesco a fare coccole ad un essere vivente più peloso di me.

La ricerca della nostra nuova casa, essendo il contratto dell’attuale bilocale in imminente scadenza, inizia consultando i siti specializzati. Tra questi, il gettonatissimo sito web del The Beijinger, una specie di RomaCè un po’ infighettato, essendo tradotto in inglese offre automaticamente case in affitto a prezzi gonfiati. In Cina, come altrove, la comodità si paga, e a noi che siamo giovani, barbuti, freak nostalgici, intellettualoidi de’ sinistra vestiti come i Beatles di Norwegian Wood, le comodità non solo non ci servono; le schifiamo.

E quindi sotto a tradurre annunci in cinese, telefonare agli agenti, prendere appuntamenti, smadonnare sotto una pioggia da foresta tropicale mentre, con le nostre scarpettine cinesi da 18 yuan fatte di carta velina, mettiamo i piedi a bagno per due ore girando improbabili sistemazioni, del tutto dissimili (chiaramente) alle descrizioni pubblicate online: stamberghe pseudo fatiscenti oppure rimesse a nuovo ma con bagno (lusso di pochi nell’hutong) e cucina esterni, opzione accettabile fino ai primi di ottobre, ma che dalle prime nevicate in poi diventa davvero improponibile, anche per dei finti freakkettoni come noi.
A seguito di svariate ricerche, pomeriggi interi buttati al vento, finalmente la troviamo: due stanze, soggiorno, cucina (piccola) e bagno non piccolo, ma monoposto: un abitacolo da formula uno con un cesso, probabilmente trafugato da un asilo, fissato al centro.

È lei, siamo fomentati, la blocchiamo e ci diamo appuntamento coi proprietari il giorno seguente.
Dopo una serata ad improvvisarci interior designer, facilitati più dai litri di birra Yanjing che da effettive competenze in merito, la mattina ci presentiamo puntuali all’incontro coi fangdong: con nostra moderata sorpresa, nel bel mezzo del soggiorno campeggia una lavatrice enorme, nuova di zecca. Il proprietario, un pechinese doc sulla cinquantina in grado di pronunciare ad ogni frase una serie impressionante di “r” completamente fuoriluogo, dopo aver decantato i prodigi dell’elettrodomestico, ci spiega che, siccome il bagno e la cucina sono troppo piccoli, il portento tecnologico per lavare i vestiti rimarrrà, assieme al frigorifero, ad abbellire il nostro soggiorno. Ogni volta che dovremo lavare i nostri panni, continua il fangdong, basterà sollevare il macigno, avvicinarlo al bagno, ficcare il tubo di scarico nei pressi della botola, e il gioco è fatto! Hen fangbian, molto comodo!

Cercando di spiegare che non è hen fangbian, ma è hen mafan (una gran rottura di palle, tradotto con licenza), senza ottenere i risultati sperati, decidiamo di affidarci alla millenaria saggezza cinese: “L’arte della guerra consiste nello sconfiggere il nemico senza doverlo affrontare”. Lo diceva Sunzi quasi 2500 anni fa ne L’Arte della Guerra e noi, prendendolo alla lettera nel 2010, abbiamo girato i tacchi e ce ne siamo andati, minacciando di mandare tutto a monte.
Tempo 5 minuti, suona il cellulare: tutto risolto, la lavatrice se ne va in uno stanzino esterno (assieme al gatto, aggiungo io), settimana prossima ci vediamo per firmare il contratto.
Stasera, si brinda a Sunzi.