Ancora tutti appesi a Fini

Dietro le dichiarazioni concilianti di Fini il tentativo di lasciare che si chiuda la finestra elettorale?

Le cose più interessanti sulla crisi del centrodestra e il rapporto tra Berlusconi e Fini si trovano quasi tutte sui giornali di centrodestra (il Giornale, Libero, il Secolo, il Foglio) e la loro lettura fornisce un quadro piuttosto interessante della situazione. Detto della riunione di ieri in parlamento, il Giornale mette in campo innanzitutto l’agenda del presidente della camera, per capire in quali occasioni Fini parlerà in pubblico nei prossimi giorni.

Di appuntamenti ce ne sono soprattutto tre, tutti piuttosto ghiotti, non fosse ancora fresco il ricordo della non eccitante intervista a Lucia Annunziata. Il primo è stasera, quando il presidente della Camera dovrebbe partecipare in qualche modo a Ballarò (secondo il Giornale sarà ospite in studio, Repubblica invece parla di una semplice intervista registrata: ha ragione la seconda). Il secondo sarà domattina, a Roma, quando Fini presenterà un rapporto sulla «nuova classe dirigente» insieme a Luca Cordero di Montezemolo, che da tempo salta fuori ogni volta che si parla di governi tecnici. Venerdì 30, poi, Fini incontrerà alcuni studenti universitari per un incontro sul tema “Informazione e politica”. Le parole di Fini durante questi appuntamenti, insieme alle riunioni d’area e un importante passaggio parlamentare, scandiranno l’evoluzione della “quasi crisi” nel corso della settimana.

Il passaggio parlamentare è quello relativo alle dimissioni di Italo Bocchino da vicepresidente del gruppo del Pdl alla camera: dimissioni ventilate, annunciate, promesse ma mai arrivate. Se il Giornale parla di «tira e molla» ed esclude che Bocchino possa davvero lasciare il suo incarico, Libero aggiunge qualche dettaglio e una lettura interessante.

Le sue dimissioni [quando saranno ufficialmente presentate] non saranno accolte. I motivi, secondo gli addetti ai lavori, sarebbero essenzialmente due. Il primo è che essendo stato eletto insieme a Cicchitto, qualora dovesse lasciare, tecnicamente decadrebbe anche il capogruppo berlusconiano [ma il Giornale smentisce questa lettura]. In quel mentre Bocchino, probabilmente, si ricandiderebbe; e, pur perdendo, incasserebbe i voti (39? 22? 11?) dei deputati finiani; ma così si verrebbe a legittimare una minoranza interna, ed è l’ultima cosa che i vertici del partito vogliono. L’altro motivo per lasciare le cose come stanno è che Bocchino rappresenta il metronomo degli umori finiani. E quindi l’epurazione di Bocchino, il più finiano dei finiani, potrebbe sempre essere la spada di Damocle sulla capoccia di Fini. O, nel caso di una strategia più dialogante, lo stesso Bocchino potrebbe trasformarsi nel pontiere ideale.

Intanto non si fermano i contatti tra finiani e berlusconiani, e in ogni schieramento sembra ci si siano spartiti i ruoli: da una parte le colombe (oggi sicuramente più numerose) che tentano di ricomporre e ricucire; dall’altra i falchi, che minacciano ritorsioni e fanno i conti su chi sta con chi. Sebbene Fini pubblicamente abbia ingranato la retromarcia, infatti, il Foglio racconta di una tregua lontana dall’essere siglata:

Se i falchi insistono nel descrivere il premier arrabbiatissimo e pronto a mettere in atto una strategia di ritorsione sugli uomini di Fini, anche dalla parte finiana c’è chi sembra avere il compito di respingere l’assalto con delle controminacce.

Come? Con il solito spauracchio della crisi di governo. Il punto centrale qui è la possibilità o meno di andare a elezioni anticipate. Bossi e Berlusconi le hanno minacciate a lungo perché sanno che Fini non può permettersi la responsabilità di un ritorno alle urne; i finiani sanno che per disinnescare questa minaccia occorre semplicemente aspettare qualche giorno. Lo spiega Francesco Bei su Repubblica.

Tra gli uomini del premier sale la preoccupazione per alcuni “strani movimenti” che sarebbero in corso tra i presunti registi dell’operazione. Il timore è destinato a crescere con il passare dei giorni, anche perché – come fa notare con malizia un finiano di primo piano – “tutti sanno che, tra pochi giorni, si chiuderà la finestra elettorale per votare a primavera. Dopodiché parlare di voto anticipato diventerà un’arma scarica”. Insomma, il momento propizio per un rovesciamento parlamentare starebbe arrivando, anche se Fini per primo, nella riunione di ieri con i suoi fedelissimi, ha assicurato “lealtà” al governo e alla maggioranza. Il problema è che il Cavaliere è anche consapevole che l’ipotesi di elezioni anticipate – unica contromossa rispetto a un “ribaltone” parlamentare – potrebbe rivelarsi un boomerang proprio per il Pdl. L’ultimo sondaggio planato sulla sua scrivania, realizzato all’indomani della drammatica spaccatura nella Direzione Pdl, avrebbe infatti fotografato una realtà drammatica: una formidabile avanzata della Lega, fino al 15 per cento, a scapito proprio del partito di maggioranza relativa.

Libero decide allora di fare i conti, ma se il titolo del suo pezzo dice che «Il governo tecnico non ha i numeri», l’infografica che lo accompagna sembra suggerire il contrario. Il discrimine è tutto nella differenza tra «finiani potenziali» e «finiani disponibili». I finiani “potenziali” sono quelli che hanno firmato il documento pro-Fini precedente alla direzione nazionale; i “disponibili” sono quelli che sarebbero pronti ad andare oltre una semplice firma e mettere la propria faccia – e il proprio voto – su una crisi di governo e un successivo governo tecnico. Libero sostiene che nemmeno la metà dei “finiani potenziali” è in realtà anche “disponibile”, ma i numeri della sua infografica parlano chiaro: per sfiduciare il governo alla camera servono 316 voti, e l’opposizione e i “finiani potenziali” ne avrebbero 329; al senato ne servirebbero 161 e ce ne potrebbero essere 165. Insomma, non è finita. Anche perché – suggerisce Fulvio Carro sul Secolo tornando sulla votazione di giovedì scorso – sarebbe errato affidarsi all’estemporanea votazione in chiusura della direzione nazionale per conoscere il reale peso dei finiani nel Pdl.

Se la prima conta fosse proseguita si sarebbe arrivati a quarantacinque, forse cinquanta, non di più. Un parlamentare di formazione Dc, che di congressi veri ne ha visti tanti e ha “il colpo d’occhio”, giura sulla prima cifra. Sia come sia, ora la domanda (irritatissima) è: chi se ne è andato, chi è uscito un attimo, chi non ha alzato la mano? Sotto osservazione il gruppo degli amici di Gianni Alemanno, non è un mistero per nessuno che alla riunione di corrente che ha preceduto la direzione, martedì scorso, se i fedelissimi del Nord erano sparati contro Fini, l’enclave dei romani aveva espresso forti perplessità sullo strappo. […] Anche nella corrente di Maurizio Gasparri al momento della votazione le cose sono andate in modo strano. […] Sulla “linea Fini” i gasparriani non si sono mai ritrovati, ma soprattutto nei più giovani c’è un sentimento di lealtà personale duro a morire: per un ventennio Fini è stata “la Cassazione” di tante aspirazioni politiche mortificate dai capicorrente, ha determinato carriere, candidature, nomine e voltargli le spalle per alcuni risulta davvero difficile.