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  • Sabato 24 aprile 2010

Amnesty denuncia: casi di tortura negli Emirati Arabi Uniti

17 prigionieri indiani sono stati condannati a morte per l'uccisione di un pakistano

Amnesty International accusa gli Emirati Arabi Uniti di aver torturato 17 indiani per strappare loro un’ammissione di colpevolezza. Ottenuta la confessione, le autorità locali hanno condannato a morte i prigionieri per aver ucciso un pakistano.

Secondo l’associazione per i diritti umani, i 17 indiani sarebbero stati obbligati a simulare la dinamica dell’omicidio sul luogo del delitto. L’intera scena è stata filmata dalle forze di polizia, che hanno poi spacciato per autentico il video con la ricostruzione del crimine in sede processuale.

Durante la prigionia, i 17 indiani avrebbero inoltre subito torture e angherie. Stando alle informazioni fornite da Lawyers For Human Rights (LFHRI), i prigionieri sono stati colpiti con manganelli, privati del sonno per giorni, sottoposti a forti scosse elettriche e obbligati a rimanere in piedi per ore su una sola gamba.

Le testimonianze sul trattamento dei 17 indiani sono state raccolte da Amnesty, che ora preme per l’apertura di un’indagine da parte delle autorità degli Emirati Arabi Uniti:

Questa è una parodia della giustizia. I 17 uomini hanno subito torture, sono stati obbligati a confessare e sono stati condannati a morte sulla base di un video falso. Amnesty International chiede agli Emirati Arabi uniti di avviare un’indagine sulle accuse di tortura e abusi per assicurare ai 17 uomini la possibilità di ricorrere in appello.

I prigionieri indiani hanno presentato una prima richiesta per l’appello e saranno nuovamente in tribunale il prossimo 19 maggio. L’omicidio del quale sono accusati si sarebbe verificato nel gennaio del 2009 nell’emirato di Sharjah. Una semplice disputa per il controllo di un traffico illegale di alcol sarebbe rapidamente degenerata, portando all’uccissione di un uomo di origini pakistane.

I 17 sarebbero stati avvisati della condanna a morte a 16 giorni di distanza dalla pubblicazione della sentenza. L’avvocato della difesa, fornito d’ufficio, non era inoltre in grado di parlare la lingua dei prigionieri e in tribunale non avrebbe fatto alcun riferimento alle torture subite in carcere dai suoi assistiti.